Aumentano i trentenni che vivono con i genitori, diminuisce il benessere giovanile

Secondo gli ultimi dati Istat, c'è una grande incidenza di giovani fino ai 35 anni che vivono ancora con i genitori. Una delle cause maggiori è il lavoro precario e un basso potere d'acquisto

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Francesca Secci

Giornalista

Giornalista pubblicista con esperienza in redazioni rilevanti, è specializzata in economia, finanza e geopolitica.

Secondo il rapporto Annuale Istat, il 67,4% dei giovani tra i 18 e i 34 anni vive ancora con i genitori, un incremento di 8 punti percentuali rispetto al 2002. La situazione è particolarmente grave nel Mezzogiorno, con la Campania che registra il livello più alto al 75,4%, mentre nel Centro-Nord, con l’eccezione delle Marche al 74,5%, si scende sotto la media nazionale.

L’Istat lancia inoltre un allarme sul benessere giovanile, evidenziando un peggioramento degli indicatori di salute mentale, soprattutto tra le ragazze. L’indice di salute mentale, già in calo durante il periodo pandemico del 2021, è ulteriormente sceso nel 2023, passando da 68,2 nel 2022 a 66,5.

Nonostante un lieve miglioramento del Pil, cresciuto dello 0,9% nel 2023, il panorama complessivo resta preoccupante. L’Italia, sebbene abbia superato la Francia (0,7%) e la Germania (-0,3%), rimane indietro rispetto alla Spagna (2,5%). Dal 2000 ad oggi, la crescita italiana è stata limitata, accumulando un divario di oltre 10 punti con la Spagna, 17 con la Germania e 14 con la Francia.

La “Generazione mille euro”

L’espressione “bamboccioni” utilizzata dall’ex ministro Padoa Schioppa ed entrata nel linguaggio popolare, è ormai obsoleta non solo per la controversia che ha generato, ma anche perché i giovani sono oggi tra le categorie più svantaggiate in Italia. Il mercato del lavoro penalizza fortemente questa fascia d’età, rendendo le condizioni di lavoro della “Generazione Mille euro” un sogno lontano. Molti giovani sono intrappolati in contratti part-time involontari, che colpiscono soprattutto donne e giovani.

Le persone tra i 15 e i 24 anni rappresentano metà dei tre milioni di contratti a tempo determinato presenti nel mercato del lavoro italiano. Nelle regioni dove è più alto il numero di giovani che vivono con i genitori, il tasso di disoccupazione giovanile è particolarmente elevato. In Campania e Sicilia, ad esempio, raggiunge il 30% nella fascia 18-34 anni.

Lavoro povero in aumento

Nel 2023, l’occupazione è cresciuta del 2,1%, con 481 mila nuovi posti di lavoro, ma molti lavoratori restano in condizioni economiche precarie. Oltre la metà dei lavoratori part-time tra i 15 e i 64 anni desidera lavorare di più, con un’incidenza quasi del 70% tra gli uomini e un picco di 9 su 10 nel Mezzogiorno. Tra il 2013 e il 2023, il potere d’acquisto delle retribuzioni lorde è diminuito del 4,5%, mentre in altre economie europee è cresciuto, raggiungendo il 5,7% in Germania.

Il lavoro in Italia: un’analisi critica

Il rapporto evidenzia che la stagnazione della produttività del lavoro è un problema chiave. Tra il 2007 e il 2023, il Pil per ora lavorata è aumentato solo dell’1,3%, contro il 3,6% della Francia, il 10,5% della Germania e il 15,2% della Spagna. Questo modesto incremento si riflette negativamente sul mercato del lavoro, dove le donne sono particolarmente svantaggiate. L’occupazione femminile, seppur migliorata, resta bassa rispetto agli standard europei, con un’incidenza del part-time quattro volte superiore a quella maschile (31,4% contro 7,4%).

Disuguaglianze generazionali e povertà giovanile

La crescita economica non ha ridotto le disuguaglianze. Le retribuzioni non hanno tenuto il passo con l’inflazione e la spesa delle famiglie è diminuita in termini reali, aumentando la distanza tra le famiglie più ricche e quelle più povere. Le disparità generazionali sono evidenti: i giovani sono i più colpiti dalle difficoltà economiche. Il 9,8% degli italiani vive in povertà assoluta, un aumento di tre punti percentuali rispetto al 2014. Tra i minorenni, 1,3 milioni vivono in povertà assoluta, con un’incidenza del 14%. Tra il 2013 e il 2023, la povertà tra gli occupati è aumentata di 2,7 punti percentuali, passando dal 4,9% al 7,6%.

Il legame tra giovani e povertà

La qualità della vita è strettamente legata alla situazione lavorativa. Non sorprende quindi che dai dati sulla povertà emerga che i giovani sono tra i più colpiti. Nel 2023, l’incidenza di povertà assoluta è più alta tra i minori di 18 anni (14% rispetto al 9,8% della media della popolazione, pari a 1,3 milioni di minori), seguiti dalla fascia 18-34 anni e 35-44 anni (11,9% e 11,8% rispettivamente).

Nonostante ciò, il numero di giovani in Italia continua a diminuire. Già nel 2021, l’Italia aveva la più bassa incidenza di 18-34enni nella popolazione dell’Ue, con l’eccezione della Bulgaria (17,5% contro il 19,6% della media UE27).

Un capitale umano in declino

Un altro dato preoccupante riguarda la natalità. Nonostante un calo dell’8% nei decessi rispetto al 2022, il saldo naturale della popolazione rimane negativo. La riduzione della natalità è influenzata anche dalla diminuzione delle nascite tra la popolazione straniera, che aveva contribuito a mantenere alto il tasso di natalità nei primi anni 2000. Nel 2023, sono nati 200mila bambini in meno rispetto all’anno precedente.

I giovani sono i principali protagonisti del calo demografico in Italia. Nel 2023, in Italia si contano poco più di 10 milioni e 330 mila persone tra i 18 e i 34 anni, con una perdita di oltre 3 milioni dal 2002 (-22,9%). Rispetto al picco del 1994, il calo è di circa 5 milioni (-32,3%). L’Italia continua a trascurare questo prezioso capitale umano, tra “bamboccioni”, Neet (giovani che non lavorano e non studiano) e “cervelli in fuga”.