Addio Roomba, iRobot dichiara fallimento: con la richiesta di protezione sotto il Chapter 11 e il passaggio di controllo al cinese Shenzhen Picea Robotics, iRobot (l’azienda che ha inventato il mercato dei robot aspirapolvere) esce di scena come attore indipendente. E dietro al passaggio ai cinesi c’è anche lo zampino dell’Unione europea.
Per chi ha vissuto i primi anni Duemila, Roomba non era semplicemente un elettrodomestico: era una promessa, uno status symbol, una curiosità, un oggetto futuristico che entrava in casa, si muoveva da solo, sbatteva contro i muri e faceva intuire che l’automazione domestica non fosse più fantascienza.
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Il fallimento di iRobot, Roomba passa alla Cina
Fondata nel 1990 da tre ingegneri del Mit, iRobot aveva compiuto un’impresa rara: trasformare una tecnologia complessa in un prodotto popolare, vendendo oltre 40 milioni di unità nel mondo e rendendo il proprio marchio sinonimo di categoria.
Formalmente, iRobot non scompare: la procedura di Chapter 11 consente all’azienda di continuare a operare, pagare dipendenti e fornitori, mantenere una continuità industriale. Il processo dovrebbe concludersi entro febbraio 2026. Ma dal punto di vista strategico, il verdetto è già scritto.
L’accordo di ristrutturazione prevede l’acquisizione del 100% della società da parte di Shenzhen Picea Robotics, principale fornitore e creditore del gruppo. Le azioni verranno azzerate e ritirate dal Nasdaq. Gli azionisti, di fatto, escono con nulla in mano. Un epilogo brutale, soprattutto se si considera che solo tre anni fa Amazon aveva messo sul tavolo un’offerta da 61 dollari per azione.
Nel filing depositato in tribunale, iRobot dichiara asset e passività comprese tra 100 e 500 milioni di dollari. Numeri che raccontano un’azienda ancora viva, ma ormai priva di gradi di libertà. Senza più spazio per un futuro autonomo.
Come l’Ue ha regalato iRobot ai cinesi
Nel 2022, l’acquisizione da parte di Amazon sembrava una via d’uscita quasi naturale. L’integrazione di Roomba nell’ecosistema Alexa e smart home avrebbe garantito distribuzione e profitti. Ma l’operazione si è schiantata contro le autorità antitrust europee.
Bruxelles ha temuto un eccessivo controllo dei dati domestici e una distorsione della concorrenza nel mercato della smart home. L’accordo è stato bloccato. Amazon ha pagato una penale superiore ai 90 milioni di dollari, gran parte dei quali è finita in consulenze e nel rimborso di un prestito ponte da 200 milioni concesso da Carlyle.
Il paradosso è evidente: nel tentativo di limitare il potere di un colosso americano, il risultato finale è stato consegnare un intero segmento industriale a un player cinese. Un tema che va ben oltre i robot aspirapolvere.
Ridurre il tracollo di iRobot a una semplice questione di prezzi sarebbe un errore. La concorrenza cinese non ha vinto solo perché “costa meno”, ma perché ha costruito un sistema industriale più efficiente, integrato e veloce.
Marchi come Roborock, Dreame e Narwal non sono startup improvvisate. Sono aziende con enormi capacità produttive, forte integrazione verticale, cicli di innovazione rapidissimi e una capacità di trasformare la ricerca in prodotto finito molto superiore a quella occidentale. Mentre Roomba restava ancorata a un’idea di premium storico, i competitor asiatici hanno spinto su mappature avanzate, lavaggio dei pavimenti, docking station automatiche, manutenzione autonoma e applicazioni concrete di intelligenza artificiale. Il mercato, semplicemente, è passato di mano.
Gli errori di iRobot
iRobot ha commesso anche errori strategici rilevanti: tra il 2016 e il 2021, negli anni migliori, ha speso una parte significativa dei profitti in riacquisti di azioni, spesso a valutazioni elevate. Risorse che avrebbero potuto essere reinvestite in ricerca, diversificazione e difesa tecnologica.
A differenza di altri player dell’elettronica di consumo, iRobot non è riuscita a costruire una seconda gamba di business credibile oltre al suo prodotto storico. Quando il vantaggio competitivo su Roomba si è assottigliato, non c’erano alternative pronte.
Tra il 2021 e il 2024 il fatturato si è dimezzato. Nel 2024 i ricavi si sono fermati a 628 milioni di dollari, mentre il debito cresceva: 190 milioni verso le banche e 74 milioni verso Picea. A quel punto, il margine di manovra era già scomparso.