Francesco Caltagirone e l’ostacolo delle imprese familiari: riforma sulla successione

Francesco Caltagirone vede nelle regole attuali dei profondi limiti per le imprese a struttura familiare: occorre intervenire

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Francesco Caltagirone è un ricco imprenditore italiano, impegnato nel campo edile e dell’editoria. Indicato come uno degli italiani più ricchi al mondo, con un patrimonio di 3,8 miliardi di dollari, stando ai dati del 2021. Dal suo punto di vista, il capitalismo familiare non è storia antica di questo Paese, anzi. Può rappresentare presente e futuro, a patto però che si attui una riforma intelligente in merito.

Una riforma necessaria

Francesco Caltagirone ha espresso il proprio pensiero nel corso del Festival dell’Economia, spiegando come un’azienda necessiti di spirito di sacrificio per poter raggiungere un certo livello e, soprattutto, restarci. Se questo è scontato nel suo fondatore, che ha di fatto investito la propria vita in tale progetto, il discorso non è così automatico per gli eredi: “I figli potrebbero essere imprenditori o soltanto ricchi”. Un’eventualità da tenere in considerazione e, per la salvaguardia di aziende cruciali per il tessuto locale e non solo, occorre una riforma delle successioni per l’impresa.

Il passaggio generazionale può garantire l’accesso a una nuova fase di sviluppo, in linea con i tempi, come nel caso ad esempio di Marina Caprotti ed Esselunga. Può però accadere che la rovina del progetto, in precedenza florido, derivi proprio dal cambio ai vertici. Essere gli eredi di sangue non vuol dire, sempre, rappresentare la scelta migliore per il brand.

Caltagirone sottolinea come la fiscalità successoria non rappresenti un problema, anzi. La ritiene infatti “ottima e priva di problemi”. L’ostacolo è dato dai vincoli che limitano le libertà del singolo imprenditore nell’assegnazione delle quote. Anche in presenza di un testamento, gli eredi vantano diritti inoppugnabili. In parole povere, chi trasmette la società deve avere più potere decisionale. Ha infatti le redini dell’impresa e sa bene come agire per il suo bene.

Tutto ciò si basa su dati reali e allarmanti. Stando ad Aidaf-Bocconi, infatti, appena un terzo delle imprese familiari italiane riesce a resistere alla terza generazione. In parole povere il pensiero di Caltagirone si può riassumere così: “Chi redige il testamento, decide”.

Italia caso a parte

L’Italia rappresenta un caso tradizionalmente differente dagli altri Paesi europei. Il nostro tessuto imprenditoriale fa molta leva sulla famiglia. Lo si può dire, in generale, per la maggior parte della nostra economia. Si parla non a caso di capitalismo familiare, che rappresenta ancora un “asse portante” del fare impresa.

Il tempo passa, la tecnologia si sviluppa eppure certi modi di fare e ragionare permangono, considerando il successo che hanno apportato nel corso dei secoli. Per quanto la struttura regga su basi parentali, fino a che chiunque abbia fondato l’azienda ne resta alla guida, tutto rischia di crollare dinanzi al passaggio generazionale.

Considerando come l’Italia faccia leva su tali strutture societarie, non è pensabile che si resti a guadare senza intervenire attivamente, spiega Caltagirone. Ne va dello sviluppo economico del Paese. È dunque nell’interesse di tutti che ci si attivi per una riforma della successione.

Di fatto, spiega, l’impresa ha una funzione patrimoniale ma anche e soprattutto sociale. Dev’esser preservata. Tutti gli eredi vanno assicurati entro certi limiti, garantendo loro un livello di benessere. Il resto dev’essere però consegnato nelle mani della persona migliore, soprattutto se è indicata chiaramente in un testamento: “Oggi le norme dividono l’eredità in quote obbligatorie: bisogna abbassarle, bisogna rendere la parte disponibile dell’eredità tale da conferire una maggioranza”.