Spread Btp-Bund a 66 punti ma debito ancora alto, cosa significa per chi investe

Con uno spread stabile la spesa per interessi può ridursi di miliardi. Ma il 2026 sarà il vero banco di prova per la finanza pubblica

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato:

Lo spread continua a incoraggiare: il differenziale di rendimento tra Btp e Bund a dieci anni apre a 66,04 punti base, collocandosi stabilmente sotto la soglia psicologica dei 70 punti.

È un livello che fino a pochi mesi fa appariva difficilmente raggiungibile e che segna uno spartiacque rispetto agli anni in cui l’economia italiana era la malata d’Europa.

Perché lo spread scende

Il dato sullo spread assume ancora più rilevanza se inserito in una prospettiva temporale più ampia: nel corso dell’ultimo anno il differenziale ha registrato una riduzione superiore al 40%, con una performance Ytd del -43,07%. Ancora più significativa la dinamica a sei mesi (-30,66%) e a un mese (-12,28%), che raccontano di una compressione rapida e progressiva del premio per il rischio richiesto dai mercati sull’Italia.

Il rendimento del Btp decennale si attesta al 3,49%, un livello lontano dai picchi del biennio 2022-2023 ma ancora nettamente superiore a quello dei Paesi core dell’Eurozona. È proprio in questo equilibrio, con spread contenuto ma rendimenti ancora interessanti, che si colloca la fase attuale del mercato.

La dinamica osservata oggi non è spiegabile esclusivamente con la riduzione dei tassi a lungo termine. Anzi, i rendimenti dei titoli italiani a dieci anni sono scesi solo marginalmente. Il vero motore della compressione dello spread va ricercato nel movimento opposto della Germania, dove i rendimenti del Bund sono aumentati.

Il differenziale si riduce, quindi, più per un riallineamento relativo che per un miglioramento isolato dell’Italia. Da un lato, il mercato riconosce una maggiore stabilità dei conti pubblici italiani; dall’altro, sconta un contesto più complesso per la Germania, alle prese con prospettive di crescita più deboli e con un aumento delle emissioni legate a politiche fiscali più espansive. È “la crisi economica più grave dalla fondazione della Repubblica Federale” nel 1949, ha affermato senza giri di parole Peter Leibinger, presidente della Bdi, la Confindustria tedesca.

Questo spostamento degli equilibri ridisegna la mappa del rischio sovrano europeo: l’Italia appare meno fragile, mentre il Bund non è più percepito come un ancoraggio totalmente immune da tensioni. Lo scenario è incoraggiante, ma l’Italia è ben lontana dal suo obiettivo: anche con lo spread basso non c’è crescita e gli stipendi piangono.

Spread basso e conti pubblici

Uno spread stabilmente sotto i 70 punti base ha implicazioni dirette e misurabili sulla finanza pubblica: secondo le stime del Centro Studi di Unioncamere, il mantenimento di questi livelli potrebbe tradursi in risparmi cumulati sulla spesa per interessi compresi tra 15 e 17 miliardi di euro entro il 2027.

Il meccanismo è noto: tra il 2022 e il 2023, il Tesoro ha collocato titoli a tassi elevati, spesso tra il 4,5% e il 5%, in risposta all’inflazione e alla stretta monetaria della Bce. Con la scadenza di quei titoli, il rifinanziamento avviene oggi a condizioni più favorevoli. Non si torna ai livelli pre-pandemia, ma il costo medio del debito smette di crescere e inizia lentamente a raffreddarsi.

Ogni asta contribuisce meno alla pressione futura sui conti pubblici, migliorando la sostenibilità del debito senza manovre correttive immediate.

Il miglioramento dello spread non elimina però la complessità della gestione del debito. Nel 2025, il fabbisogno di cassa dello Stato è stimato a 127 miliardi, pari al 5,6% del Pil. Le emissioni nette di titoli di Stato potrebbero salire a 103 miliardi, includendo i prestiti europei legati alle ultime tranche del Pnrr e una riduzione delle giacenze di liquidità del Tesoro.

Si tratta di volumi elevati, che richiedono una domanda solida e continua. La differenza rispetto al passato recente è che queste emissioni avvengono in un contesto di minore tensione finanziaria, con uno spread contenuto e una platea di investitori più ampia e diversificata.

Chi compra il debito italiano

Uno degli elementi strutturali più rilevanti è il cambiamento nella composizione dei detentori del debito pubblico. La quota di famiglie e imprese non finanziarie è più che raddoppiata, passando dal 6% di fine 2021 al 15% dal 2024, arrivando a dimensioni comparabili a quelle delle banche.

Parallelamente, gli investitori non residenti sono tornati a essere protagonisti, raggiungendo il 33% del totale a settembre 2025. È un segnale di normalizzazione: il mercato internazionale torna a considerare l’Italia un emittente affidabile in un contesto europeo meno sbilanciato.

Questo doppio trend fatto di risparmio domestico e capitali esteri rende il sistema più resiliente, soprattutto ora che la Bce riduce progressivamente il proprio ruolo di acquirente.

Proprio il Quantitative Tightening rappresenta il principale fattore di attenzione per i prossimi anni. Con il progressivo disimpegno dell’Eurosistema, il mercato dovrà assorbire circa 175 miliardi di titoli all’anno tra nuove emissioni e mancati rinnovi dei titoli in portafoglio alla Bce.

Per il 2026, le aspettative sui tassi restano improntate alla stabilità, con il livello di riferimento intorno al 2%. Questo contribuisce a contenere la volatilità, ma sposta l’attenzione sulla capacità del mercato di reggere volumi elevati senza il paracadute di Francoforte.

Cosa cambia per i piccoli risparmiatori

In uno scenario di spread basso e rendimenti ancora positivi, il rischio di oscillazioni improvvise sui prezzi dei titoli di Stato si riduce rispetto al passato. La fase attuale non è caratterizzata dall’urgenza difensiva che ha contraddistinto gli anni della crisi, ma da una maggiore selettività.

Per i piccoli risparmiatori, il contesto apre una fase in cui diventa centrale osservare con attenzione alcuni mercati e strumenti:

  • il comparto del debito sovrano dell’Eurozona, dove le differenze tra Paesi core e periferici si stanno ridisegnando;
  • le scadenze medio-lunghe, più sensibili alle aspettative sulla politica monetaria;
  • il ruolo crescente del risparmio retail, che rende il mercato domestico meno dipendente dagli shock esterni.

Non è una fase priva di rischi, soprattutto guardando al 2026 e al venir meno del sostegno della Bce, ma è una fase più leggibile rispetto al passato recente.

L’avvertimento dell’Upb

L’Ufficio parlamentare di bilancio certifica la fine dell’emergenza spread, ma invita a non confondere la stabilità con l’assenza di fragilità. Il debito resta elevato, il fabbisogno sopra i 120 miliardi e l’eredità dei crediti d’imposta continua a pesare sulle prospettive future. Il vero test non sarà tanto il livello dello spread oggi, quanto la capacità di mantenerlo contenuto quando il mercato dovrà assorbire grandi volumi senza il supporto della Bce.

Le indicazioni contenute in questo articolo hanno uno scopo esclusivamente informativo, possono essere modificate in qualsiasi momento e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza finanziaria con figure professionali specializzate. QuiFinanza non offre servizi di consulenza finanziaria, di advisory o di intermediazione e non si assume alcuna responsabilità in relazione a ogni utilizzo delle informazioni qui riportate.