In un contesto globale ancora segnato da tensioni commerciali e volatilità valutaria, la Cina continua ad ampliare il proprio vantaggio di crescita rispetto agli Stati Uniti. Così Giacomo Calef, country head Italy di NS Partners spiegando che comprendere i dati macroeconomici è essenziale per interpretare le prospettive di mercato: nel secondo trimestre, Pechino ha registrato una crescita del PIL del 5,2% su base annua, rispetto al 2,6% stimato dalla Federal Reserve di Atlanta per l’economia americana. Tuttavia, per gli USA, il consensus Bloomberg prevede un rallentamento al 1,5% nel 2026. Sul fronte dei prezzi, il deflatore del PIL cinese – indicatore che riflette la variazione media dei prezzi su tutti i beni e servizi prodotti – è sceso dell’1,2%, evidenziando pressioni deflazionistiche. Per stimolare i consumi interni e contrastare gli effetti dei dazi, il governo ha rafforzato un programma di sostituzione dei beni obsoleti, includendo prodotti come elettrodomestici e smartphone, e aumentando il contributo fino a 500 yuan per articolo.
Azionario: Cina, è il momento di un ingresso cauto?
Inoltre, ha lanciato emissioni di titoli di Stato ultra-lunghi destinati a finanziare infrastrutture green e trasporto passeggeri, per un totale di 81 miliardi di yuan. Questo pacchetto si affianca a possibili tagli dei tassi nella seconda metà dell’anno: il rendimento del decennale cinese, fermo all’1,66%, lascia spazio a manovre monetarie mirate, anche in virtù di un rapporto debito/PIL relativamente contenuto (67,5%).
Negli Stati Uniti, al contrario, l’adozione del “One Big Beautiful Bill Act” potrebbe portare il debito pubblico dal 100% attuale fino al 124% entro il 2034 (129% in caso di misure permanenti). Con tassi di policy al 4,5%, la Federal Reserve dispone ancora di margini d’intervento, ma l’inflazione al 2,7% e l’elevato debito pongono dubbi sull’efficacia di ulteriori tagli nel sostenere mutui e investimenti, in caso di rallentamento marcato.
la view di NS Partners
In questo scenario, le valutazioni dell’azionario cinese – oggi sensibilmente inferiori rispetto a quelle statunitensi – “possono rappresentare un’opportunità. Tuttavia, la crescente divergenza tra economia reale e andamento degli indici richiede un approccio altamente selettivo. Fin dal 2021 abbiamo adottato una strategia focalizzata sulla Cina che combina esposizioni long nei settori strutturalmente più promettenti – come tecnologia, consumo domestico ed energia pulita – con posizioni short su aree fragili del mercato, per contenere la volatilità e intercettare le discontinuità”.Questo approccio flessibile, fondato su una selezione bottom-up e una forte disciplina sul rischio, “ha permesso di generare un rendimento positivo di circa l’8% in dollari tra il 2021 e il 31 maggio 2025, a fronte di un calo di oltre il 30% degli indici cinesi nello stesso periodo”, spiega ancora l’esperto.
Cautela parola d’ordine
Riteniamo che, anche oggi, un’esposizione alla Cina vada calibrata con attenzione: non necessariamente rinunciata, ma affidata a strategie attive e adattive, capaci di leggere i segnali macro e micro, e di muoversi con cautela dentro un contesto complesso ma ricco di disallineamenti da valorizzare.