Il focus degli investitori rimane concentrato sulle mosse delle banche centrali. In Europa resta alta la fiducia su un prossimo taglio dei tassi di interesse, mentre la situazione è meno chiara negli Stati Uniti d’America. Nel frattempo, la Bank of England ha lasciato tutto invariato così come la Reserve Bank of Australia. Per la prima volta, in otto anni, c’è il taglio in Svezia.
Bank of England taglia le stime sull’inflazione. Tassi fermi
In linea con le previsioni, la Bank of England ha optato per la sesta volta consecutiva per il mantenimento dei tassi d’interesse di riferimento al 5,25%. Una decisione, presa con una maggioranza di sette membri del board contro due, dettata dal livello dei prezzi ancora elevato, con un’inflazione ferma al 3,2%, ben al di sopra del target del 2%.
I mercati, ad ogni modo, sembrano prezzare un primo taglio dei tassi già durante l’estate. “Abbiamo ricevuto notizie incoraggianti sull’inflazione e riteniamo che scenderà vicino al nostro obiettivo del 2% nei prossimi due mesi – ha detto il governatore Andrew Bailey – Dobbiamo avere maggiori prove del fatto che l’inflazione rimarrà bassa prima di poter tagliare i tassi di interesse. Sono ottimista sul fatto che le cose si stiano muovendo nella giusta direzione”.
All’interno del Monetary Policy Committee (MPC) della Bank of England ha votato con una maggioranza di 7-2 per mantenere il tasso di interesse chiave al 5,25%. Due membri, invece, avrebbero preferito ridurre il tasso di 0,25 punti percentuali, al 5%.
Prima volta della Svezia in 8 anni
La banca centrale svedese ha deciso di tagliare il costo del denaro di 0,25 punti base per la prima volta in otto anni portando il saggio di riferimento al 3,75%. L’inflazione si sta avvicinando al target, spiega la Riksbank, mentre l’attività economica è debole. Se l’outlook per l’inflazione dovesse essere confermato, i tassi potranno essere ulteriormente tagliati due volte nella seconda parte dell’anno, in linea con quanto previsto a marzo.
Reserve Bank of Australia lascia tutto invariato
Intanto, la Reserve Bank of Australia ha mantenuto invariato il target del tasso di liquidità al 4,35% e il tasso di interesse pagato sui saldi di Exchange Settlement al 4,25%, in quanto l’inflazione sta calando più lentamente del previsto. In settimana si riuniranno anche gli istituti centrali brasiliano, polacco e svedese.
Fed, dacci un taglio!
Sta volgendo al termine la stagione delle trimestrali e gli investitori continuano a interrogarsi sulle mosse della Federal Reserve che non è chiaro se procederà con due tagli o uno solamente nel corso dell’anno sulla scia di dati macro a luci e ombra.
Il presidente della Fed di New York, John Williams, ha assicurato che un taglio dei tassi ci sarà, ma che l’attuale livello di politica monetaria è comunque in una buona posizione, senza negare che la sorpresa sugli ultimi dati sull’inflazione americana siano una fonte di preoccupazione. Cautela è stata espressa anche dal numero uno della Fed di Richmond, Thomas Barkin, secondo il quale c’è ancora da aspettare prima di operare un allentamento della politica monetaria, poiché resta il rischio che l’inflazione nel settore immobiliare e dei servizi possa mantenere elevati gli aumenti dei prezzi. L’economista di Goldman Sachs, David Mericle, ha dichiarato di aspettarsi ancora due tagli dei tassi quest’anno, a luglio e a novembre, dopo che il presidente della Fed Jerome Powell ha respinto con forza la possibilità di ulteriori rialzi.
C’è anche chi ha non ha escluso il rischio di un nuovo rialzo dei tassi. Il presidente della Fed di Minneapolis, Neel Kashkari, commentando il trend dell’inflazione, ha affermato che, a suo avviso, la Federal Reserve potrebbe essere costretta a non tagliare i tassi nel corso del 2024. “Credo che sia molto più probabile dovere attendere più tempo rispetto alle attese o rispetto a quanto il pubblico stia prevedendo in questo momento, fino a quando non vedremo gli effetti della nostra politica monetaria”. Anche una esponente del direttorio della Federal Reserve, Michelle Bowman, peraltro generalmente non ritenuta tra i falchi più intransigenti, ha evocato la possibilità di un rialzo dei tassi, “se i dati che perverranno dovessero indicare che i progressi sull’inflazione sono finiti in stallo o si sono invertiti”. E’ importante “tenere a mente che la politica monetaria non è su un percorso prestabilito. Io e i miei colleghi assumeremo le nostre decisioni a ogni riunione del Fomc sulla base dei dati che perverranno e delle loro implicazioni e rischi per le prospettive. Sebbene l’attuale linea monetaria appaia a un livello restrittivo, resto pronta ad aumentare i tassi a una futura riunione se i dati che perverranno dovessero mostrare che i progressi sull’inflazione si sono arrestati o invertiti”.
BCE verso tagli più cauti dopo inflazione e PIL
L’economia dell’Eurozona è cresciuta dello 0,3% nel primo trimestre, molto più delle previsioni di consenso dello 0,1%. L’inflazione dei servizi è invece diminuita, ma non così rapidamente come previsto. Ciononostante, si attesta a livello tendenziale al 3,7% ad aprile, in calo rispetto al 4% registrato a marzo.
Cosa significano questi dati per la BCE? Anzitutto, le buone notizie, spiega Tomasz Wieladek, Chief European Economist, T. Rowe Price. La BCE ha previsto una ripresa della produttività del lavoro più forte rispetto al consenso del mercato. Sembra che ciò stia accadendo. La metà della debolezza della produttività del mercato del lavoro si è concentrata nel settore dei servizi. Dato che la crescita è più forte nelle economie altamente specializzate nei servizi, una maggiore crescita della produttività in questo settore indica che la BCE è in grado di convivere con un’inflazione salariale del 3-3,5%. In sostanza, questa è la fase in cui ci troviamo. Il rilancio della produttività significa che la Bce è in grado di procedere con i tagli dei tassi, anche se la crescita dei salari non dovesse scendere sotto il 3%.
Tuttavia, i dati sull’inflazione sono meno costruttivi. L’inflazione dei servizi è diminuita su base annua, ma meno del previsto. Una parte di questo calo ha a che fare con gli effetti base dovuti alla tempistica della Pasqua. Il consiglio direttivo avrà un dato “depurato” dagli effetti distorsivi della Pasqua solo alla fine di maggio. Quindi l’inflazione implicita dei servizi è un po’ più forte del previsto.
La BCE inizierà comunque a tagliare i tassi a giugno, dato il livello molto alto dei tassi oggi. Il tasso neutrale inoltre non è superiore al 3%. Ciò lascia un ampio margine di manovra per i tagli. Tuttavia, per quanto riguarda il ritmo dei tagli dopo giugno, la Bce sarà guidata più dall’inflazione effettiva dei servizi che dalla produttività del lavoro. I dati rendono molto più probabile che la BCE salti il mese di luglio per poi tagliare altre due, tre volte quest’anno. Uno scenario di quattro, cinque tagli dei tassi non è un’ipotesi da scartare quest’anno. Nel complesso, questi dati renderanno la BCE più cauta riguardo al ritmo dei tagli dei tassi dopo giugno.
Il dilemma della Bank of Japan
A quanto pare la Banca del Giappone ha finalmente raggiunto, dopo lungo tempo, l’agognato obiettivo di un’inflazione costantemente al 2%, superando alcune criticità strutturali che per decenni hanno afflitto l’economia del Paese del Sol Levante.
A questo scenario contribuisce la saturazione del mercato del lavoro giapponese, dove le recenti trattative salariali portate avanti da una delle principali organizzazioni sindacali hanno determinato un aumento del 3,7% dei salari base, l’incremento più consistente degli ultimi 30 anni. Prendendo atto di questi sviluppi, nel marzo 2024 la Banca del Giappone ha finalmente posto fine al regime di tassi di interesse negativi, aumentando i tassi overnight dal -0,1% allo 0-0,1%, abbandonando il programma di controllo della curva dei rendimenti (YCC) e consentendo al mercato di operare in condizioni più normali.
Pur avendo a disposizione margini di manovra sufficienti per effettuare cambiamenti graduali, si legge in un report del team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management, l’istituto centrale nipponico non si trova in una posizione che gli consenta di intraprendere un ciclo di rialzi aggressivo e muoversi in direzione nettamente opposta a quella delle altre Banche Centrali dei Mercati Sviluppati. Fra tutti i Paesi Sviluppati, il debito pubblico giapponese è il più alto, collocandosi a oltre il 240% del PIL, vale a dire più del doppio degli Stati Uniti. Inoltre, permane un punto interrogativo sulla capacità di famiglie e imprese di far fronte all’aumento dei costi di finanziamento, dopo aver usufruito per anni di tassi bassissimi.