Ex Ilva di Taranto, nessun accordo: 6mila operai verso la cassa integrazione

Nessun accordo sull'ex Ilva di Taranto fra Governo e sindacati: si va verso la cassa integrazione per 6.000 lavoratori. Zero certezze sui nuovi investitori

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

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Nuovo scontro sull’ex Ilva di Taranto tra Governo e sindacati: dopo una giornata di trattative a Palazzo Chigi, il vertice si è chiuso senza accordo.

In sintesi: i sindacati chiedono un piano di rilancio industriale dell’ex Ilva e di tutela occupazionale, mentre il Governo parla di uno stop produttivo temporaneo senza indicare risorse immediate o un partner industriale certo che possa risollevare le sorti dello stabilimento.

Ex Ilva di Taranto, scontro fra Governo e sindacati

I sindacati parlano apertamente di piano di chiusura, mentre il Governo si difende:

Non c’è alcuna volontà di abbandonare Taranto, ma servono mesi di transizione e lavori per la decarbonizzazione.

Il risultato: entro fine dicembre saranno in cassa integrazione circa 5.700 lavoratori, che a gennaio potrebbero diventare 6.000. La forza lavoro complessiva dell’ex Ilva è di poco inferiore alle 10.000 unità.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha spiegato che il nuovo ricorso alla Cig (Cassa integrazione guadagni) è necessario per permettere i lavori di fermo e messa in sicurezza delle cokerie, propedeutici alla decarbonizzazione. Tale processo, nelle intenzioni del Governo, dovrebbe durare 4 anni.

ex ilva taranto

L’ira dei sindacati sull’ex Ilva

Così ha commentato Michele De Palma segretario generale Fiom:

Di fatto è stato presentato un piano di chiusura: sono migliaia di lavoratrici e lavoratori che finiscono in cassa integrazione. Non c’è un piano con un sostegno finanziario per il rilancio e la decarbonizzazione. Quindi abbiamo deciso unitariamente come Fim, Fiom e Uilm di andare dai lavoratori e spiegare che la scelta del governo per quanto ci riguarda è una scelta che noi contrasteremo con tutti gli strumenti possibili.

Così attacca il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella:

È un piano inaccettabile perché parte da un presupposto: portare alla chiusura dell’ex Ilva. E noi non vogliamo essere responsabili di questo. Finora li abbiamo seguiti: ora condannano i lavoratori a una chiusura inesorabile.

Questa la denuncia di Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl:

Il Governo vuole mettere in cassa integrazione fra tre giorni 1.200 lavoratori, più altri 400 a gennaio, con la prospettiva di fermare un’attività, quella delle batterie delle cokerie. E non ci sono neanche le condizioni per trovare un nuovo acquirente. Sì è deciso di fare cassa con il lavoratori.

Attualmente la cassa integrazione riguarda un numero massimo di 4.450 dipendenti, di cui 3.800 a Taranto.

Il piano del Governo

Il piano quadriennale presentato dal Governo Meloni ai sindacati punta alla decarbonizzazione cercando di trasformare l’Italia nel primo Paese europeo a produrre solo acciaio green. Al centro del progetto ci sono nuove trattative con un potenziale acquirente estero che ha già avuto accesso ai dati aziendali e manifestato interesse dopo un incontro giudicato positivo.

Dal 15 novembre fino a febbraio 2026 verranno avviati interventi di manutenzione su altoforni, acciaierie e impianti ambientali. Da marzo 2026 si prevede una seconda fase di lavori che, nelle speranze del Governo, dovrebbero venire effettuati del nuovo acquirente.

C’è poi la rimodulazione della produzione con un piano che porterà, dal gennaio 2026, allo stop delle batterie di cokefazione e all’utilizzo alternato di un solo altoforno.

Il piano, come detto, comporta anche un aumento del ricorso alla cassa integrazione, che passerà dalle attuali 4.550 unità a 6.000 lavoratori entro l’inizio del 2026. Il governo si impegna a garantire la copertura finanziaria e l’integrazione del reddito.

Elemento chiave della transizione sarà la costruzione, entro quattro anni, di un impianto Dri (Direct Reduced Iron) a Taranto, per produrre acciaio con minori emissioni di CO₂. Lo Stato e la Regione Puglia assicureranno le risorse necessarie e la fornitura di gas a prezzi competitivi.

Parallelamente, il Tavolo Taranto al Mimit sta valutando oltre 15 progetti industriali di aziende italiane e straniere per diversificare le attività nell’area, in un’ottica di reindustrializzazione e rilancio sostenibile del polo siderurgico.

Chi potrebbe comprare l’ex Ilva

Questa la replica ufficiale di Palazzo Chigi, che esprime “rammarico” per il mancato accordo con i sindacati:

L’Esecutivo conferma in ogni caso la disponibilità a proseguire l’approfondimento di tutti gli aspetti e anche dei rilievi più controversi, sollevati dalle stesse organizzazioni sindacali alle proposte avanzate dal governo per la gestione operativa dell’azienda in questa fase transizione.

Durante l’incontro, il ministro Urso ha citato alcuni potenziali investitori interessati all’ex Ilva:

  • Baku Steel, già presente nelle precedenti trattative;
  • i fondi Flacks Group e Bedrock, che hanno presentato offerte a settembre;
  • un quarto soggetto coperto da riserbo di cui non è trapelato il nome.

Secondo quanto filtra, Bedrock sarebbe ancora in pole position, ma il suo piano industriale prevede una drastica riduzione dell’occupazione, da 8.000 a circa 2.000 addetti, con la chiusura dell’area a freddo e la sostituzione degli altiforni con soli due forni elettrici. Un ridimensionamento che i sindacati bocciano su tutta la linea.