Per la terza volta nel giro di pochi anni, la Francia si ritrova costretta a fare i conti con un’ondata di disordini e violenze. Se le motivazioni che spinsero i gilet gialli a scendere in strada nel 2018 andavano ricercate nel disagio economico dei ceti più deboli (così come la riforma del sistema pensionistico ha scatenato le proteste del 2022), le durissime manifestazioni di queste settimane hanno invece una radice più marcatamente di tipo sociale e culturale.
A fare insorgere gli esponenti delle comunità più emarginate (residenti prevalentemente nelle banlieue di periferia delle città) è stata infatti l’uccisione di un ragazzo di 17 anni originario del Maghreb il cui nome, Nahel, è divenuto lo slogan del dissenso. A compiere l’omicidio è stato un poliziotto che lo ha visto sfrecciare alla guida di un suv Mercedes davanti ad un posto di blocco. Il giovane (che non avrebbe potuto essere alla guida) non si è fermato all’alt dell’agente, che ha reagito sparando. Il tutto è successo a Nanterre, comune alle porte di Parigi, nella serata di martedì 27 giugno scorso.
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Scontri e violenze in tutta la Francia: cosa sta succedendo
Quelle successive sono state giornate di fuoco, sia nella capitale che in altre metropoli d’oltralpe come Marsiglia e Rouen. Oltre 45mila uomini tra polizia e gendarmeria sono stati mobilitati nel tentativo di contenere la rabbia dei protestanti. Nei primi 3 giorni dopo l’accaduto le forze dell’ordine hanno fermato una media di 1.300 manifestanti ogni 24 ore, la maggior parte dei quali di età inferiore ai 18 anni.
Moltissimi i danni arrecati a cose e persone, tra auto bruciate, vetrine spaccate e un quantitativo surreale di accessori urbani (dalle fioriere ai tombini, passando per i cartelli e i lampioni) trasformati in oggetti contundenti. La portata economica delle devastazioni viene stimata nell’ordine di diversi milioni di euro.
A pagare il prezzo più caro è stato un vigile del fuoco di 24 anni, che a Parigi ha perso la vita nel tentativo di evacuare un’abitazione messa a ferro e fuoco durante gli scontri: nello specifico, la casa si trova nel quartiere di Seine Saint Denis, il dipartimento più asserragliato della capitale assieme a quelli di Hauts de Seine e di Val de Marne. In totale sono oltre 40 gli agenti che hanno riportato ferite più o meno gravi nel corso dell’ultima settimana.
La morte di Nahel, le manifestazioni di piazza e la reazione del governo francese
Da parte delle istituzioni statali, l’atteggiamento si è dimostrato assai ondivago man mano che il bilancio complessivo andava aggravandosi. Se, fin dalle prime ore, gli esponenti del governo della premier Elizabeth Borne hanno espresso grande vicinanza alla famiglia di Nahel, condannando in maniera molto ferma l’operato del poliziotto (che è stato posto in stato di fermo preventivo), con il passare delle ore l’entità delle sommosse nelle banlieue ha costretto l’esecutivo e il presidente Emmanuel Macron a prendere forti provvedimenti nei confronti dei danneggiatori.
A livello di opinione pubblica, la situazione si è ben presto capovolta: dopo un’iniziale cordoglio manifestato da moltissimi esponenti della società civile (uno fra tutti il calciatore Kylian Mbappe, stella del Paris Saint Germain e della Nazionale francese), il sentimento comune che ha iniziato a prevalere è stato quello della rabbia nei confronti dei manifestanti. Un atteggiamento che viene visto come il sintomo inequivocabile di una profonda spaccatura che vede contrapposte le minoranze etniche delle periferie ai ceti medio alti dei centri abitati.
A conferma di tutto ciò si è verificato un fatto più unico che raro, che non ha precedenti nel continente europeo: mentre la raccolta fondi indetta dai conoscenti del diciassettenne si è fermata alla misera quota di 80mila euro, quella aperta da un gruppo di estrema destra a favore del poliziotto fermato ha superato la soglia dei 730mila euro e si avvia ad oltrepassare il milione di euro. È l’esempio più chiaro di come la popolazione stessa – oltre alla politica, con la sinistra radicale di Jean Luke Melenchon schierata con le proteste e la destra di Eric Zoumur che invoca lo stato d’allerta – viva uno stato di profonda divisione e preoccupante spaesamento.
Francia nel baratro: cosa rischia l’Italia?
In questo scenario dai contorni apocalittici, l’Italia guarda esterrefatta (e anche un po’ impaurita) l’evolversi della situazione nello Stato più vicino. Non è solo la classe dirigente – preoccupata per un’ipotetica estensione del malcontento dentro i nostri confini nazionali – ad interrogarsi sulle conseguenze del caos francese, ma anche il mondo riconducibile all’economia, alla finanza e all’imprenditoria. Proprio ora che il rapporto tra Roma e Parigi sembra essere rientrato in un clima di collaborazione dopo gli screzi iniziali conseguenti all’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, ecco che la nuova bomba sociale rischia di avere ripercussioni anche sui rapporti industriali e commerciali tra i due Paesi.
Oltretutto, i tumori crescono se si pensa che quello che stiamo vivendo è uno dei periodi più virtuosi della storia recente per quanto riguarda l’interscambio produttivo tra Italia e Francia. A dirlo sono i numeri sviscerati a inizio anno in uno studio redatto dal ministero dell’Economia, in collaborazione con il dicastero delle Imprese e del Made in Italy. Il quadro tracciato dal governo è infatti quello di una florida collaborazione tra le due sponde delle Alpi, con alcuni particolari punti di forza che sembrano essersi ulteriormente rafforzati lungo l’arco del 2022.
Interscambio Roma-Parigi: quante sono le aziende italiane in Francia e quanto vale l’indotto
Osservando i numeri sviscerati da via XX Settembre si scopre come gli scambi commerciali tra Italia e Francia nel 2022 abbiano toccato il valore complessivo di 103 miliardi di euro. Una cifra assai maggiore rispetto alla maggior parte delle annate dell’ultimo ventennio, in cui la partnership del nostro Paese con l’Eliseo non ha avuto sempre questa portata. Uno degli ambiti chiave di questa collaborazione è senza dubbio quello alimentare ed enogastronomico, ma molto solidi sono anche gli affari che comprendono il settore militare e la produzione dei microchip (dove siamo noi gli acquirenti), così come quello dell’industria tessile (nostro indiscusso punto di forza).
Oltre alle possibili ripercussioni su queste piattaforme di scambio, le tensioni potrebbero riguardare molto da vicino anche le circa 2mila imprese italiane attive sul territorio nazionale francese. Nei loro stabilimenti operano oltre 80mila dipendenti (di cui molti originari del Piemonte e della Liguria), che potrebbero essere costretti ad interrompere la propria attività lavorativa. Il tutto mentre il tasso di crescita degli investimenti nostrani nelle regioni francesi ha subito un’impennata del 45% nel confronto tra il 2022 e il 2021, con l’avvio di 139 nuovi progetti di vario tipo anche al di fuori della regione dell’Ile de France (quella di Parigi).