Eurozona, le sfide su debito e produttività: il modello virtuoso della Svezia

Coniugare queste priorità non è un compito facile ma qualche Paese come la Svezia ha trovato qualche soluzione interessante che S&P ha analizzato

Foto di QuiFinanza

QuiFinanza

Redazione

QuiFinanza, il canale verticale di Italiaonline dedicato al mondo dell’economia e della finanza: il sito di riferimento e di approfondimento per risparmiatori, professionisti e PMI.

Pubblicato: 16 Ottobre 2024 16:20

Diversi Paesi dell’Eurozona stanno affrontando quelle che quelle che sembrano essere sfide contrapposte: ridurre il debito del settore pubblico in rapporto al Pil e, al contempo, incrementare la produttività. Non è un compito facile, ma il successo della Svezia alla fine degli anni ’90 potrebbe fornire un modello per una soluzione basata sull’applicazione di nuove normative di bilancio e sull’allocazione efficiente del risparmio privato.

È quanto sottolinea uno studio di Sylvain Broyer, Chief Economist EMEA di S&P Global Ratings. L’agenzia seguirà attentamente i dibattiti sui bilanci nazionali di quest’autunno, in particolare nei Paesi che la Commissione europea ha segnalato per le procedure di deficit eccessivo, e monitorerà da vicino il processo di miglioramento delle nuove regole fiscali europee, auspicando al tempo steso un’allocazione più efficiente dei risparmi privati, con particolare riferimento ai progressi nell’uso di prodotti pensionistici a lungo termine.

Debito pubblico e produttività

L’analista prende ad esempio gli sforzi che stanno portando avanti Francia, Italia e Belgio per risanare le proprie finanze pubbliche e incrementare la produttività. “Si tratta di un compito non facile e apparentemente contraddittorio: una ripresa della produttività contribuirebbe al consolidamento fiscale, ma non necessariamente il contrario – fa notare Broyer –. Con i mercati finanziari e la Commissione europea alla ricerca di piani ambiziosi, i tre Paesi potrebbero guardare all’esempio di un’altra economia sviluppata con abbondanti risparmi privati che ha affrontato la stessa sfida”.

Il modello svedese

Il modello proposto è quello della Svezia che ha dimezzato il proprio debito pubblico al 37,5% del PIL nel lontano 2007, rispetto al 69% del 1996, senza abbandonare il proprio modello sociale e senza frenare la crescita.

“Al contrario, in questi 10 anni la crescita media annua è stata mantenuta a oltre il 3%, non è caduta in recessione in nessun anno e ha registrato un aumento del 30% della produttività oraria del lavoro e dell’intensità del capitale”, ha sottolineato l’analista di S&P.

Tra le misure più importanti introdotte da Stoccolma in quegli anni, l’analisi di S&P si è concentrata sull’introduzione di un tetto triennale alle spesa nominale del governo centrale integrato con un obiettivo di avanzo di bilancio e la riforma delle pensioni che portò alla creazione di forti fondi pensione che contribuirono ad un aumento degli investimenti nel settore privato equivalente a 4 punti del PIL.

La soluzione di S&P

Non potendo far affidamento sulla ripresa economica ciclica per risanare le finanze pubbliche e ripristinare la produttività, i Paesi europei devono trovare un’altra soluzione, tendendo conto che, in assenza di cambiamenti strutturali, gli investitori nazionali ed esteri potrebbero non essere più disposti a ignorare i rischi associati agli onerosi debiti sovrani, riducendo la loro capacità (o almeno la loro propensione) di investire. Ciò potrebbe comportare un aumento degli spread del debito sovrano dei Paesi e potrebbe costringere la Banca Centrale Europea (BCE) a riprendere il programma di acquisto del debito sovrano.

Per l’analista la soluzione per i Paesi dell’Eurozona potrebbe risiedere dunque nei risparmi privati. “L’Europa dispone di ampi risparmi privati che potrebbero essere allocati in modo più efficiente a sostegno delle piccole imprese innovative, con una conseguente crescita della produttività che aiuterebbe la regione a mantenersi all’avanguardia tecnologica. Senza interventi – avverte l’esperto d S&P – le principali economie europee potrebbero continuare a perdere quote di mercato, compromettendo il commercio globale, che è stato un’importante fonte di crescita negli ultimi trent’anni”.