La saga degli esuberi Beko si arricchisce di un nuovo capitolo: questa volta a farne le spese sono gli impiegati e i ricercatori. Al tavolo del Mimit, l’azienda ha snocciolato l’ultimo aggiornamento: il taglio nell’area impiegatizia si riduce da 678 a 600 unità. Un dato che arriva dopo il ridimensionamento della scure sulla produzione, dove sono sparite oltre 300 posizioni full time equivalent.
I sindacati, però, non ci vedono niente di cui esultare. Per loro, il numero resta esagerato, soprattutto alla luce delle nuove assunzioni che la multinazionale ha deciso di piazzare nella divisione ricerca e sviluppo in Turchia. Il clima sembra comunque inclinarsi verso la costruzione di un accordo quadro da chiudere entro fine marzo, con l’idea di cucire su misura soluzioni per ogni stabilimento.
Siena al centro del confronto sindacale
Nonostante qualche timido passo avanti, la trattativa Beko continua a camminare sulle sabbie mobili. La questione più spinosa resta la chiusura dello stabilimento di Siena, un punto che i sindacati considerano inaggirabile.
Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha puntato il dito sulla necessità di un’azione decisa del governo per costringere la multinazionale a impegnarsi sulla continuità produttiva in Italia.
Sul fronte sociale, si cercano strategie per ammortizzare l’impatto degli esuberi, tra cassa integrazione, incentivi all’esodo e prepensionamenti. Il nodo cruciale è Siena, con il Mimit e Invitalia in pieno casting per scovare un investitore che scommetta sul sito. Lo stabilimento non è nemmeno di proprietà della multinazionale, un dettaglio che complica ulteriormente il piano di rilancio.
L’azione del governo e le prospettive per il futuro
Durante l’incontro, la sottosegretaria al Mimit con delega alle crisi d’impresa, Fausta Bergamotto, ha messo sul tavolo la necessità di garantire la continuità operativa del sito senese, perché senza un piano solido, il rischio di una desolazione industriale è dietro l’angolo. Il ministero sta battendo ogni strada possibile per facilitare l’acquisizione dello stabilimento da parte di un nuovo soggetto industriale, con l’idea di costruire le basi per attrarre un investitore e dare ossigeno al progetto di reindustrializzazione.
Oltre ai sindacati toscani, anche quelli marchigiani non stanno a guardare. Il Fabrianese è tra le zone più colpite, con un’ondata di esuberi che non lascia margini per facili speranze. La riduzione annunciata alleggerisce il peso, ma non lo fa scomparire, e i sindacati insistono su misure strutturali per non lasciare i lavoratori in balia degli eventi.
Il governo continua a muoversi nel perimetro già tracciato, insistendo su tre pilastri: tutela dei livelli occupazionali, salvaguardia della produzione e investimenti per modernizzare impianti e linee di prodotto.
Prossimi passi nella trattativa
Dal quartier generale Beko arriva la solita formula di rito: confronto “approfondito e costruttivo”. In pratica, nessuna svolta concreta. Maurizio David Sberna, direttore delle relazioni esterne di Beko Europe, ostenta ottimismo e parla di una possibile intesa nelle prossime settimane, ma la strada resta disseminata di incognite.
Archiviata la fase delle schermaglie sugli esuberi, la partita si sposta sugli strumenti di gestione della crisi. Il calendario è segnato: 14 e 18 marzo, due date in cui si capirà se l’accordo sarà davvero sul tavolo o meno. Sul piatto, misure di sostegno ai lavoratori e gli impegni industriali di una multinazionale che, al momento, sembra più propensa a tagliare che a investire.