Da tempo le università telematiche sono al centro di grandi polemiche in Italia. Non mancano infatti attacchi da parte di chi vede in tale sistema una scorciatoia verso un titolo “facilitato”. Un modo per garantirsi posizioni in graduatoria e inserimenti aziendali.
Il mondo però cambia e la possibilità di conseguire un titolo di laurea da remoto è ormai cruciale. Un soggetto impegnato in un lavoro a tempo pieno, infatti, farebbe fatica a rispettare il regolamento di un’università canonica, che per determinate materie prevede l’obbligo di frequenza, ad esempio. Chi richiede però maggiori regole per questo comparto scolastico, è stato accontentato. Ecco cosa cambierà in seguito al decreto ministeriale.
Le nuove regole dell’università telematica
La riforma dell’università telematica sancisce un nuovo regolamento, con novità a partire dalla modalità di svolgimento degli esami. Questi dovranno essere in presenza, a meno di situazioni contingenti limitanti, dal punto di vista sanitario, personale o collettivo.
Al tempo stesso, le lezioni non saranno totalmente registrate. Il 40% del totale, infatti, dovrà essere proposto in modalità diretta. Saranno poi accreditati come “in presenza” unicamente alcuni corsi. Non si può ancora parlare di testo ufficiale ma continua il lavoro di Anvur e Cun, ormai alle battute conclusive.
L’obiettivo è quello di riuscire a presentare alla ministra dell’Università e Ricerca, Anna Maria Bernini, il testo ultimato prima della pausa estiva. La speranza è infatti quella di rendere il tutto effettivo già a partire dall’anno accademico 2024-25. Il nodo cardine sembra essere quello del numero di docenti. Stando al Dm 1154/2021, sono necessari 7 professori di riferimento per i corsi in campo umanistico-sociale a distanza. Sono 3 invece i docenti per numerosità degli studenti iscritti al primo anno, fino a 250.
In termini pratici, si parla di 14 docenti (6 ordinari e associati) per un corso di 500 studenti iscritti al primo anno. Si ipotizza il moltiplicare per 1,5 la numerosità degli studenti, a parità di numero di docenti di riferimento.
Una crescita evidente
È evidente come in Italia si navighi su percorsi ben differenti in campo universitario, quando si parla di atenei canonici e telematici. Nel primo caso non si contano le storie personali di studenti distrutti emotivamente da un sistema (e da docenti) che sembra strutturato per ostacolarli.
In molte realtà i professori agiscono senza il minimo controllo e il Covid ha mostrato in parte la realtà dei corsi e soprattutto degli esami. Si parla di abusi verbali all’ordine del giorno, che spingono sempre più verso il mondo telematico.
In un’università che è sempre più una montagna da scalare, si guarda al titolo da raggiungere a ogni costo. Si parla del famoso “pezzo di carta” e non più di un processo di crescita e formazione personale.
In questo clima, le università telematiche hanno fatto registrare un boom del +410% in termini di immatricolazioni. Oggi in Italia si stima che il 13% dei laureati giunga da atenei telematici. Un’indagine della Fondazione Einaudi ha fornito una sorta di identikit degli iscritti.
Si tratta principalmente di lavoratori che vivono al Sud, le cui rette sostengono il sistema, che intercetta le esigenze di circa 250mila persone. Il tutto senza gravare, dunque, sui conti pubblici.