L’influenza non è faccenda solo umana. Da quando si sono riabbassate le temperature anche gli animali da reddito hanno ricominciato ad ammalarsi. È del 17 novembre la conferma ufficiale di un focolaio di influenza aviaria in Lombardia, in provincia di Varese. Ma non è né il primo né l’ultimo del mese. Sono tra gli otto e i dieci gli episodi confermati da ottobre, che hanno portato molti Comuni della Lombardia, e anche del Veneto, Emilia-Romagna e Friuli -Venezia Giulia, ad alzare la guardia e le misure di sicurezza.
Possibili contatti con uccelli migratori portatori sani, la quasi totale assenza di spazio vitale negli allevamenti e gli spostamenti di uomini all’interno delle aziende o di bestie tra un’azienda e l’altra sono tra le maggiori cause di contagio del virus.
Indice
44 aziende di pollame coinvolte nell’arco di 10 km
Il comune di Olgiate Olona ha predisposto una quarantena di almeno 21 giorni per l’azienda agricola in cui è si è scoppiato il focolaio, durante i quali saranno effettuati interventi di disinfestazione. Si tratta di una misura adottata anche da altri comuni del Nord Est che si trovano a fronteggiare l’aviaria.
Tuttavia a essere sotto l’osservazione di Ats Insubria (Azienda di tutela della salute dell’Insubria) non c’è solo l’allevamento del piccolo comune del Varesotto. Il cordone di sicurezza è costituito da due corone intorno all’epicentro:
- una Zona di Protezione di 3 km;
- una Zona di sorveglianza di 10 km.
Sono coinvolte nel provvedimento una quarantina di cittadine, dove si contano circa 44 aziende produttrici di pollame.
L’evoluzione dell’aviaria ad alta patogenicità
Che anche in natura gli animali si ammalino è lapalissiano. Tuttavia la maggior parte delle patologie degli animali da reddito non è contratta in natura, ma nei luoghi di produzione, causata perlopiù dalle condizioni di sfruttamento in cui sono costretti a vivere.
Luce artificiale a ogni ora del giorno e della notte, privazione di sonno, impossibilità di movimento in gabbie anguste e sovraffollamento: queste sono le condizioni generali di vita, se così può essere chiamata, della popolazione avicola negli allevamenti intensivi.
Che nel tempo si siano sviluppate malattie dovute al contesto ambientale in cui polli e galline si trasformano in cibo per le persone era il minimo che ci si potesse aspettare.
Così sono nati i ceppi virali ad alta patogenicità per gli uccelli, che assicurano morte certa, dovuta a difficoltà respiratorie, edemi ed emorragie interne. Finora le tipologie di influenza aviaria pericolose anche per l’uomo sono solo due, H5N1 e H7N9.
Il numero dei focolai negli ultimi anni è aumentato?
Secondo quanto riportato dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, da settembre 2024 ad aprile 2025 si sono registrati 56 focolai di influenza aviaria sul territorio nazionale. I numeri del 2022, raccolti dal Ministero della Salute insieme all’Osservatorio europeo, sono stati significativamente più alti: 248 solo in Veneto.
Il tanto temuto salto di specie dei virus non è una realtà tangibile solo per l’uomo ma anche per altri animali non umani.
Infatti, secondo uno studio pubblicato a luglio di quest’anno su Nature e PubMed, sembra che i ceppi più potenti dell’aviaria abbiano significative capacità di essere letali anche per altre specie di mammiferi, come cani, gatti e mucche.
Per questo, in ottica di prevenzione, si raccomanda sempre anche di tenere distanziati gli animali, proprio per evitare che il bestiame si ammali.
Nessun effetto sulla produzione di carni bianche
Nonostante le sempre più restrittive norme di sicurezza e igienico-sanitarie, il mercato delle carni avicole in Italia manifesta un trend positivo, con prezzi in aumento.
Solo sul territorio nazionale, infatti, dal 2023 la produzione è aumentata del 4% (Ismea). Questo perché il sistema produttivo, sia per quanto riguarda la filiera corta che la grande distribuzione, è in grado di assorbire gli stress ripetutamente causati dal diffondersi dei virus (Unaitalia).
Crisi delle uova in vista anche in Italia?
Un discorso a parte va fatto per le uova, che già in passato sono state al centro di un importante rincaro dei prezzi. Sembra che il mercato italiano riesca a difendersi bene anche da questo punto di vista e i prezzi non subiscano un’oscillazione pericolosa come in altri Paesi, come negli Stati Uniti.
Messi al sicuro i profitti tratti dallo sfruttamento di polli e tacchini nell’industria alimentare, forse dovremmo tornare a preoccuparci dei potenziali pericoli che le riproduzioni e il cambiamento di catene virali comportano per le vite umane.
Le difese dell’Italia contro l’influenza aviaria
Da un lato il Ministero della Salute predispone, sulla base di normative europee condivise, un controllo a campione sul 10% degli allevamenti per garantire la sicurezza dell’intera popolazione, umana e non umana.
Tuttavia è lecito chiedersi su quali parametri le istituzioni attuano le ispezioni, dal momento che sono le Regioni ad adattare le norme statali al contesto locale.
Per esempio, non è lo Stato a decidere quale debba essere la distanza minima tra un allevamento e l’altro. Per questo la quarantena preventiva atta ad arginare il focolaio di H5 riesce a coinvolgere 44 allevamenti nel raggio di 10 km.
Ad oggi virus ad alto contagio come l’H5 e l’H7 hanno solo la capacità di essere mortali nella trasmissione diretta da uccello a uomo. La loro evoluzione incessante non esclude mai del tutto la possibilità che in futuro possa viaggiare da persona a persona.