Il tema della sanità è risultato centrale nella discussione nazionale durante l’emergenza Covid. La pandemia aveva gettato luce sulla necessità di ripensare il sistema. Nuove assunzioni e rifinanziamenti rimasti però bloccati su un piano teorico, quasi integralmente. La realtà è che il Servizio sanitario nazionale arranca e, guardando all’accesso garantito alle cure mediche, sono le classi meno abbienti a pagare lo scotto più caro.
Ciò avviene principalmente attraverso attese estremamente prolungate, il che spesso si traduce nell’accettare l’inevitabile peggioramento delle proprie condizioni. In altri casi, invece, ci si ritrova a selezionare l’urgenza maggiore, tra le incombenze fiscali mensili, come spesa, scuola, luce e gas, e le spese connesse alla propria salute e a quella dei propri cari.
La Sanità italiana
Ben il 53% degli italiani è costretto a far fronte a dei tempi d’attesa estremamente lunghi, se rapportati all’urgenza delle proprie condizioni di salute. Per quanto siano formalmente vietate, il 37% denuncia invece l’esistenza ben diffusa di liste bloccate o chiuse.
In questo scenario, circa 1 cittadino su 2 opta direttamente per la sanità a pagamento, ormai senza neanche tentare di affidarsi al Servizio sanitario nazionale, almeno per determinate problematiche. Chi per necessità medica è costretto a far fronte ripetutamente a certi tipi di analisi o interventi, conosce infatti estremamente bene le specifiche tempistiche. Per tale ragione, spesso, si opta direttamente per un sacrificio economico maggiore.
Tali statistiche sono evidenziate dal 21esimo rapporto Ospedali & Salute, promosso da AIOP-Associazione italiana ospedalità privata, realizzato in collaborazione con il Censis.
Sanità divisa per censo
Il rapporto pone in evidenza una chiara divisione per classe, in termini di diritto all’accesso alla sanità. Il trattamento risulta altamente impari, con liste d’attesa dal peso così rilevante da generare una divaricazione per censo. Da una parte chi può rivolgersi al privato e dall’altra chi deve convivere con problematiche di vario tipo per mesi, in attesa di ricevere supporto.
Ciò che colpisce in maniera devastante è inoltre la possibilità di azzerare, o quasi, mesi d’attesa aprendo il portafogli. Sessanta o novanta giorni si tramutano di colpo in 3-5.
Per il 56% ricorrere a una struttura privata accreditata è una necessità. Ciò a fronte delle evidenti difficoltà degli ospedali nel rispondere in tempistiche considerate appropriate alla domanda dei cittadini. In questo scenario si inserisce un 16% che ha dovuto recarsi fuori Regione nell’ambito di prestazioni erogate dal Servizio sanitario.
Tirando le somme, si individuano facilmente due fenomeni. Da una parte l’impatto di tale condizione sull’economia dei singoli cittadini. Dall’altra, invece, il frequente rinvio alle cure, quando non si opta definitivamente per una rinuncia alle stesse, a fronte di incombenze economiche ritenute prioritarie.
Rinuncia alle cure
Come detto, molti italiani sono costretti a operare una scelta. Non sempre le cure mediche rappresentano una priorità. Per quanto appaia incredibile tale ragionamento, le spese mensili gravose sono in costante aumento, come evidenziano anche i costi delle bollette di luce e gas, così visite, esami e interventi vengono posticipati sempre più.
Nel 2023 il 42% dei pazienti con redditi bassi, fino a 15mila euro, è stato costretto a rinviare delle cure sanitarie o rinunciarvi del tutto. Da un lato si profila l’impossibilità di accedere al Servizio sanitario nazionale. Dall’altro, invece, l’incapacità di sostenere i costi della sanità privata.
Ciò riguarda, stando al rapporto Aiop-Censis, il 32% di chi vanta un reddito tra 15 e 30mila euro, il 22,2% di chi ha entrate tra 30 e 50mila euro e il 14,7% di chi supera quota 50mila euro annui.