Siamo abituati a definire i tumori in base all’organo in cui si formano. Quindi si parla, ad esempio, di tumore del colon-retto, del polmone, del fegato della prostata o della mammella. Ma forse, in futuro, questa tassonomia è destinata a mutare. Perché magari, in termini di organizzazione dell’oncologia e soprattutto della clinica, sarà necessario spostare il baricentro diagnostico-terapeutico dalle sedi d’organo ai profili molecolari.
Necessità di test mirati
“L’approccio cosiddetto agnostico alla terapia, che sceglie la cura in base alla mutazione molecolare e non all’organo d’origine, può cambiare la storia della malattia. Ma perché ciò accada serve una rivoluzione culturale nella classificazione dei tumori”.
È con queste parole che Giuseppe Curigliano, professore ordinario di oncologia medica all’Università degli Studi di Milano e direttore della Divisione di sviluppo precoce dei farmaci dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, istituto associato ad Alleanza Contro il Cancro, ha affrontato il tema in occasione del decimo Annual Meeting di Rete di Verona. L’esperto ha così argomentato questa tematica e soprattutto il bisogno di analizzare le cellule con test molecolari. Il che significa una gestione ottimale di queste risorse. Fa notare Curigliano:
“Il cambiamento nella classificazione del cancro metastatico non sarà possibile se non aumenterà l’accesso ai test che rilevano le alterazioni molecolari”.
Come migliorare
Sono tre gli snodi che possono consentire questo sviluppo. Andiamo per ordine, le indicazioni scientifiche al proposito sono chiare. Dal 2020 le società scientifiche internazionali, tra cui ESMO (Società Europea di Oncologia Medica) , raccomandano test multigenici per tutti i pazienti con carcinoma polmonare avanzato. Eppure, un’analisi su circa 38.000 cartelle cliniche statunitensi (diagnosi 2010–2018) mostra solo il 22% con risultati di test molecolari documentati — percentuali coerenti con altri studi internazionali. Insomma, c’è da fare ancora molto.
Secondo tema: l’aspetto economico. Rispetto a qualche tempo fa, anche la discussione sui costi appare superata. Negli Usa un pannello molecolare può costare circa 3.000 dollari, mentre in Europa siamo intorno a 1.000 dollari per test.
Il terzo tema è relativo all’accessibilità a questa tecnologia, anche per non creare disparità che si riflettono sui malati. Anche in questo senso i dati economici sono più che confortanti. Il sequenziamento completo del genoma è sceso a circa 330 dollari (da oltre 1.100 dollari pochi anni fa). Inoltre, sempre più centri eseguono analisi in-house e, in prospettiva, l’intelligenza artificiale potrà estrarre segnali genomici da vetrini istologici standard, riducendo ulteriormente tempi e costi e rendendo sostenibile il testing anche in Paesi a basso e medio reddito.
Cosa potrebbe cambiare
Lo studio italiano ROME, citato nella lectio magistralis di Curigliano, dimostra la fattibilità clinica dell’approccio “agnostico” nella pratica quotidiana: un percorso in cui la scelta terapeutica è guidata da alterazioni target e biomarker d’azione più che dall’istotipo ovvero dalle caratteristiche del tessuto (e quindi dell’organo) di origine.
“Classificare i tumori in base alle loro caratteristiche molecolari accelererà l’accesso a terapie efficaci per milioni di persone e porrà le basi di una vera oncologia di precisione”
ha ribadito Curigliano. D’altro canto, questo passaggio culturale potrebbe rivelarsi di grande importanza anche per il paziente, pur se la transizione a una tassonomia molecolare non si esaurisce nel test: occorre integrare più livelli informativi — genomica del tumore, linee delle cellule germinali del paziente, numero/dimensioni delle lesioni, aggressività biologica (espressione genica), stato clinico e sintomi (ad es. affaticamento, perdita di peso) — per orientare in modo personalizzato diagnosi, terapia e monitoraggio. Ma la strada appare segnata.