Il cervello può imparare a qualsiasi età, ce lo insegna il fringuello zebra

È l’insegnamento che viene da un’originale ricerca condotta su uccelli canterini, i diamanti zebra, della famiglia dei fringuelli.

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Non è mai troppo tardi. Viene in mente il titolo di una trasmissione “cult” di qualche decennio fa, quando si pensa al cervello e alle sue possibilità di recepire e fare proprie nuove esperienze. Perché la plasticità dei neuroni e delle vie di connessione che legano le aree del sistema nervoso centrale non si spegne. E il cervello può rispondere, riprogrammandosi. Ed accettando le nuove sfide, rispondendo a dovere.

È l’insegnamento che viene da un’originale ricerca condotta su uccelli canterini, i diamanti zebra, della famiglia dei fringuelli. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, è stato coordinato da Daniela Vallentin e Fabian Heim ed è stato svolto dagli esperti del Max Planck Institute for Biological Intelligence.

Dall’animale all’uomo

Prima di tutto, cerchiamo di comprendere quanto è stato effettuato nell’esperimento. Gli esperti hanno preso in esame questi volatili, che riescono a fare vocalizzazioni davvero elaborate ma seguendo un tempo ben prestabilito per apprendere: il tutto si concentra mediamente nei primi tre mesi di vita. Dopo, ci sono specifici neuroni che si mettono in azione e in qualche modo frenano l’apprendimento futuro. Da questa osservazione è partito il test. Gli scienziati attraverso tecniche estremamente complesse sono riusciti a “spegnere” l’attività di questi neuroni, ridando quindi spazio alle possibilità di apprendere anche dopo il periodo fisiologico di sviluppo delle abilità nel canto. Ed hanno visto che i cinguettii sono cambiati, probabilmente migliorati, con nuovi vocalizzi prima sconosciuti. In pratica, c’è stata un’espansione del repertorio vocale degli animali adulti che in precedenza si pensava impossibile.

La scoperta è importante, anche perché le osservazioni si possono traslare all’essere umano. Anche per noi infatti ci sono fasi della vita (in particolare da bambini e da giovani) in cui il cervello è una vera e propria spugna capace di assorbire e fare propri gli stimoli esterni. Ma non bisogna pensare che le finestre di apprendimento degli esseri umani ad un certo punto si chiudano. E non è detto che sia per la conoscenza delle lingue sia per la crescita sociale ad un certo punto tutto si arresti. Bisogna però capire. Identificando cosa fare nei periodi più critici, insomma, si potrebbero trovare nuovi stimoli per mantenere giovane il cervello e magari individuare ulteriori finestre di intervento per affrontare le malattie neurodegenerative.

Un test per la memoria

Quando avete iniziato ad avere qualche difficoltà a ricordare?
Cosa avete fatto per fronteggiare queste carenze?
Per caso avete avuto traumi fisici o psicologici, magari con perdite o cambiamenti nelle abitudini di vita?
Dormite saporitamente, e per tutta la notte, sta diventando un’impresa?
Avete iniziato ad assumere nuovi farmaci?
Se bevete alcolici, quanti bicchieri?

Tranquilli, non è un vero e proprio interrogatorio ma piuttosto alcune delle molte domande che emergono da un questionario in grado di aiutare chi comincia a perdere qualche colpo sul fronte della memoria. Ad indicare queste e molte altre questioni, ricordando che potrebbero venir proposte dagli esperti, è il sito web della prestigiosa Mayo Clinic.
L’obiettivo del test è portare l’attenzione sui deficit della memoria, tenendo presente che quando si invecchia avere qualche difficoltà è normale, specie se esistono meccanismi che possono agevolare piccoli deficit. Per questo bisogna parlarne con il medico.

Per fortuna, non sempre si parla di problemi seri legati a processi degenerativi. Ma è utile fare un “check” per vedere come vanno le cose. Gli studiosi americani, peraltro, segnalano altri aspetti che debbono mettere in guardia: ad esempio bisogna fare attenzione se l’umore è il comportamento si modificano di colpo senza che nulla sia accaduto, se si mettono gli oggetti fuori posto rispetto alla normale, se si ripetono sempre le stesse domande. Magari sono piccoli segnali che, legandosi al calo della memoria, potrebbe indicare che ci vuole attenzione.

Come stimolare il cervello a ricordare ed apprendere

Il cervello umano contiene almeno 100 miliardi di cellule nervose, i neuroni, anche se c’è chi pensa siano molte di più. Ma l’importante non è solamente il numero delle cellule, ma anche come sono collegate tra loro. Ogni neurone infatti può essere collegato con altri 60.000 e arrivare ad incamerare un milione di dati con messaggi che viaggiano alla velocità di 470 chilometri l’ora. A mantenere questi stretti contatti tra una cellula e moltissime altre simili sono gli oltre cento miliardi di “saldature” specializzate, che in termine tecnico vengono chiamate sinapsi.

In questa complessità, per mantenere le capacità di ricordare ed apprendere, possono essere d’aiuto alcune semplici strategie. Ad esempio, perché il cervello e la memoria funzionino al meglio, conviene ricordare che esistono “messaggeri” dei segnali nervosi che possono aiutarci, aiutando la corsa degli stimoli tra le sinapsi. Questi sono neurotrasmettitori, come l’acetilcolina, la dopamina, la serotonina, la noradrenalina e il glutammato.
In più l’attività dei neuroni della memoria è aiutata da alcune vitamine come la B1, la B6 e la B12. Tra i cibi possono essere d’aiuto tuorlo d’uovo, germe di grano, noci, latte, (B1) pesci di mare cereali, banane, soia, prugne secche (B6) e carni, pesce e pollame (B12).

Non perdiamo poi la capacità di imparare ad “analizzare” i passaggi di qualsiasi fatto e o situazione che ti capita.
Un esempio: provate a leggere una pagina di indicazioni segnaletiche su un libro di segnali stradali. Poi spezzettate la pagina in tre porzioni. E fissatele con lo sguardo per alcuni minuti, ognuna per un terzo del tempo dedicato a “memorizzare” l’intera pagina. Il ricordo sarà più forte.

Infine, attenzione allo stress, che facilita la produzione di cortisolo, un ormone che influenza negativamente il processo di memorizzazione. Secondo uno studio dell’Istituto di Endocrinologia della Rockfeller University di New York, il cortisolo, una volta nel cervello, va a colpire una stazione fondamentale nel ricordo, l’ippocampo.