Aspettando Godot, il teatro dell’assurdo di Samuel Beckett

La grandezza del teatro di Samuel Beckett, in grado di portare in scena il nulla, senza mai perdere il controllo sul pubblico

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Nato nel 1906 e deceduto nel 1989, Samuel Beckett è generalmente considerato il più grande esponente del teatro dell’assurdo. Celebre, scrittore, drammaturgo, poeta e sceneggiatore, ha raggiunto l’apice della propria creatività artistica con Aspettando Godot. Una carriera maestosa, che lo ha visto ricevere il Premio Nobel per la Letteratura nel 1969.

Aspettando Godot

Il nome di Samuel Beckett è indubbiamente ancora ben impresso nella mente del pubblico, non solo di chi abbia letto i suoi scritti o visto alcune delle sue opere, perché associato al suo grande capolavoro: Aspettando Godot.

Il critico Vivian Mercier scrisse di quest’opera teatrale: “Becket è riuscito a realizzare ciò che era teoricamente impossibile. Un’opera in cui non succede nulla, ma che tiene incollato gli spettatori ai loro posti. In più, considerando come il secondo atto sia una ripresa leggermente differente del primo, ha scritto un’opera in cui non succede nulla, due volte”.

La trama ruota intorno a Vladimiro ed Estragone, impegnati nell’attendere un tale signor Godot in una strada di campagna desolata. Questi però non appare mai e nulla viene svelato su di lui. Alle spalle dei due, in scena, c’è un albero che segna il passare dei giorni con le foglie che cadono. L’azione è spinta un po’ più avanti soltanto da un ragazzo, spedito da Godot, che avverte i due del suo non arrivo, spiegando però che arriverà il giorno dopo.

Ad attrarre il pubblico è il vortice di discorsi, a volte senza un filo logico, dei due vagabondi. Litigano, pensano di separarsi, discutono del loro stato esistenziale e non solo. Il caos delle loro parole fa emergere il nonsenso della vita umana.

Il teatro dell’assurdo

Per teatro dell’assurdo si fa riferimento ad alcune opere, principalmente di drammaturghi europei, tra gli anni Quaranta e Sessanta. Fu il critico Martin Esslin a coniare il termine, spiegando come l’opera di questi autori mirasse a un’articolazione artistica del concetto filosofico dell’assurdità del vivere.

Si dice dunque addio a un logico e razionale costrutto drammaturgico. Si rifiuta, inoltre, una consequenzialità del linguaggio. La struttura tradizionale delle opere teatrali, che vede dipanarsi una trama di eventi concatenati tra loro, fino allo scioglimento finale, è rigettata. Al suo posto c’è soltanto una successione di eventi che, almeno in apparenza, non hanno alcuna logica.

Tutto ciò che li lega è una traccia effimera, come ad esempio un’emozione percepita da più personaggi. Il non significato apparente domina e i dialoghi sono spesso volutamente senza senso e molto ripetitivi.

In Aspettando Godot il tempo è legato a una ciclicità assoluta. Nell’opera di Samuel Beckett risulta essere quasi immobile, in alcuni versi eterno. L’importanza del tempo è connessa all’altro grande tema, l’attesa.

Il testo non è altro che un ingannare vanamente il tempo. In attesa di un evento, i pensieri fluiscono liberi, così come le paure, speranze, dolori e angosce. Si percepisce il peso insopportabile, per tutti noi, della vita. I due protagonisti arrivano a chiedersi: “Ci suicidiamo oggi o domani?”. “E se ci impiccassimo?” Prosegue la loro discussione infinita, potenzialmente, in attesa che qualcosa ponga fine al loro immobilismo, al loro gioco col tempo. E l’unica possibilità è data dalla morte.