Fratelli d’Italia, Forza Italia e Lega guardano all’autunno per far ripartire le riforme istituzionali che la maggioranza di governo sta tentando di approvare da quasi tre anni. Ogni forza politica ha la propria legge costituzionale, che vorrebbe vederla realizzata entro la fine della legislatura, nel 2027.
Quella di Forza Italia, la riforma della Giustizia che ruota attorno alla separazione delle carriere, è quella più avanzata. Il premierato, voluto da Fratelli d’Italia, è ancora in buona parte in fase di elaborazione. L’autonomia differenziata, a cui punta la Lega, si è già scontrata con il parere negativo della Corte Costituzionale e ora deve ripartire da quanto rimasto dopo la sentenza.
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La separazione delle carriere in dirittura d’arrivo
La riforma istituzionale più vicina all’approvazione è quella sulla Giustizia, voluta da Forza Italia. Essendo una legge che modifica la Costituzione, deve essere approvata due volte da ogni ramo del Parlamento. Se questi voti non sono avvenuti con il parere positivo dei due terzi delle aule, sarà indetto un referendum popolare per confermare la modifica della Costituzione.
Le prime due approvazioni della riforma della Giustizia sono già avvenute, alla Camera a gennaio e al Senato a luglio. La seconda lettura dovrebbe essere più rapida, visto che non possono essere presentati emendamenti. Bisognerà poi istituire un referendum confermativo, visto che non c’è accordo con l’opposizione per arrivare alla maggioranza dei due terzi.
Le misure principali di questa riforma sono:
- la separazione delle carriere tra magistrati e pubblici ministeri;
- la divisione del Consiglio superiore della magistratura in due organi, uno per i magistrati e uno per i Pm;
- la selezione per sorteggio dei membri dei due nuovi Csm.
Il primo punto, la separazione delle carriere, è il più pubblicizzato ma anche il meno rilevante. Nell’ultimo anno per cui esistono dati su questi passaggi, il 2021, ci sono stati 31 cambi di carriera (15 da giudici a Pm, 16 da Pm a giudice). In Italia operano 9.300 magistrati. La riforma del Csm è invece molto più significativa. Ridurrebbe infatti molto l’influenza e la centralità politica dell’organo di autogoverno della magistratura.
L’autonomia differenziata dopo la Corte Costituzionale
Nel 2024 sembrava che l’autonomia differenziata sarebbe stata la prima riforma istituzionale a essere approvata. Voluta dalla Lega, avrebbe trasferito alle regioni moltissime competenze, dal commercio con l’estero all’istruzione. A novembre di quell’anno però la Corte Costituzionale ha fondamentalmente smontato l’intero impianto legislativo che la sosteneva, con quattro tesi:
- lo Stato non può trasferire intere materie alla competenza delle Regioni;
- il trasferimento di poteri deve convenire allo Stato, non alle singole Regioni (principio di sussidiarietà);
- le Regioni non possono avere competenze su buona parte delle materie;
- i Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) non possono essere stabiliti dal Governo.
La legge, che era già stata approvata dal Parlamento e attendeva solo il referendum, va quindi riscritta. L’esecutivo ha chiesto al Parlamento una nuova legge delega, che deve ancora essere approvata. Nel frattempo il ministro per l’Autonomia Roberto Calderoli vorrebbe concludere i negoziati con quattro Regioni (Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto) per il trasferimento dei poteri sulle poche materie ammesse dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Il premierato ancora incerto
La riforma in assoluto più lontana dall’approvazione è però il premierato. La ministra delle Riforme Elisabetta Casellati ha ammesso che un eventuale referendum confermativo si terrebbe “nella prossima legislatura“. Il testo è stato approvato in prima lettura al Senato a giugno del 2024, più di un anno fa, e da allora è fermo alla Camera, che lo ha rimosso anche dal calendario estivo.
Il premierato è la riforma dell’assetto istituzionale dello Stato. Prevede che il presidente del Consiglio non venga più nominato dal presidente della Repubblica in base al risultato delle elezioni, ma che venga eletto direttamente. La coalizione che lo sostiene dovrebbe poi ottenere un premio di maggioranza che garantisca la governabilità.
Il problema politico che blocca questa riforma è che, per avere senso, andrebbe accompagnata a una nuova legge elettorale che si adatti al nuovo assetto istituzionale. Di questa norma, però, i tre partiti di maggioranza non hanno nemmeno cominciato a discutere.