Non è la riforma sul premierato forte sognata per anni dalla buon’anima di Silvio Berlusconi, che avrebbe rivoluzionato le istituzioni democratiche, ma è comunque uno shock per Parlamento e istituzioni. Va concretizzandosi la riforma sul premierato di Giorgia Meloni: una riforma composta da 5 articoli sui quali la maggioranza ha trovato l’accordo.
La riforma sul premierato della Casellati
La riforma sul premierato è stata materialmente scritta dalla ministra delle Riforme istituzionali, Maria Elisabetta Alberti Casellati. “Abbiamo fatto un grande passo avanti verso la ‘riforma delle riforme’ che darà stabilità al Paese e restituirà centralità al voto dei cittadini con l’elezione diretta del premier”, ha scritto sui social la ministra.
Il testo sul premierato verrà presentato venerdì 3 novembre in Consiglio dei ministri. La principale innovazione di questa riforma costituzionale è l’elezione diretta del premier, che attualmente viene designato dal Capo dello Stato. La riforma andrebbe a modificare 3 articoli della Costituzione: l’88 che parla del potere del capo dello Stato di sciogliere le Camere, il 92 sulla nomina del premier e il 94 sulla mozione di fiducia e sfiducia al governo. Se la riforma andasse in porto, dalla prossima legislatura le votazioni per le elezioni di deputati e senatori e l’elezione del presidente del Consiglio avverrebbero tramite un’unica scheda elettorale.
Chi elegge il presidente del Consiglio oggi?
In merito alla nomina del presidente del Consiglio oggi circola un equivoco: si ritiene comunemente che il premier venga votato dai cittadini e si ritiene dunque un sopruso quando a Palazzo Chigi finisce un premier “non eletto da nessuno”. In realtà il capo del governo non viene eletto, ma nominato: quando le coalizioni esprimono, già in fase di campagna elettorale, il loro candidato premier oppure quando un partito vince con un risultato netto e indiscusso, allora in genere il presidente della Repubblica si limita a conferire il mandato al leader della coalizione vincitrice. Ma in situazioni politiche più frastagliate e incerte, il presidente della Repubblica, dopo delicate consultazioni, conferisce l’incarico non a chi ha preso la maggioranza relativa dei voti, ma a chi offra la maggiore garanzia di poter formare un governo quanto più stabile possibile. Ecco perché a Palazzo Chigi può anche andare un soggetto diverso da chi ha vinto le elezioni.
Il presidente della Repubblica e la nomina del premier
Secondo la riforma sul premierato, il capo dello Stato non avrebbe più il potere di nominare il premier, ma dovrebbe limitarsi all’atto formale di conferire l’incarico al premier eletto dai cittadini.
Il presidente della Repubblica manterrebbe il potere di nomina dei ministri, su indicazione del capo del governo.
Legge elettorale con premio di maggioranza
In vista di una maggiore stabilità politica, Giorgia Meloni punta a introdurre un sistema elettorale maggioritario con un premio di maggioranza del 55% a candidati e liste collegate al candidato premier eletto.
Addio ai senatori a vita nominati
La riforma Meloni sul premierato fa piazza pulita anche della facoltà del capo dello Stato di nominare i senatori a vita. La riforma lascerebbe in carica i senatori a vita attualmente in Parlamento.
Legge anti-ribaltone
Viene prevista una norma anti-ribaltone: in caso il premier dovesse dimettersi o decadere dal ruolo, il presidente della Repubblica potrebbe assegnare l’incarico di formare un nuovo governo al premier dimissionario o a un altro parlamentare collegato al presidente del Consiglio al fine di “attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha chiesto la fiducia delle Camere”.
Altre due incisive ristrutturazioni del governo Meloni sono la riforma della scuola e la riforma fiscale. Quella sulle pensioni invece non è stata una grande riforma strutturale, ma una serie di aggiustamenti che andranno rivisti il prossimo anno.