Israele, Usa schierano sottomarino nucleare: dobbiamo preoccuparci?

Dopo il dispiegamento di due portaerei, gli Usa tornano a far sentire il proprio peso nel Mediterraneo. Un messaggio chiaro nei confronti dell'Iran e dei suoi alleati anti-Israele, da Hamas a Hezbollah. Cosa rischiamo?

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre Israele continua a bombardare e stringere Gaza con una manovra a tenaglia, gli Usa cercano di ricorrere all’arma fredda della deterrenza nucleare per scongiurare un allargamento del conflitto.

Divisi tra l’incrollabile sostegno allo Stato ebraico e la sempre più vuota propaganda degli appelli al rispetto dei civili palestinesi, gli apparati americani hanno deciso di tornare a mostrare i muscoli nel Mediterraneo, schierando un sottomarino nucleare di classe Ohio. Ecco perché e cosa succede ora.

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La mossa degli Usa nel Mediterraneo: cosa succede

L’unità navale sommergibile statunitense è stata mobilitata in quella che è la sua area di responsabilità, che si estende dall’Africa nord-orientale attraverso il Medio Oriente e fino all’Asia centrale e meridionale. La decisione arriva due giorni dopo un’altra azione di deterrenza: la Marina americana aveva già annunciato l’intervento nel Mediterraneo di due gruppi d’attacco di portaerei, la Gerald Ford e la Dwight Eisenhower, nell’ambito di un’esercitazione durata tre giorni in cui è stata provata anche la capacità di difesa missilistica.

L’intento degli Stati Uniti è senza alcun dubbio di deterrenza, come dimostrano due fattori principali. Il primo è la potenza nucleare, schierata apertamente non per essere utilizzata, ma per scongiurare ogni possibile escalation militare. Il secondo è legato al primo e riguarda la comunicazione istituzionale: l’esercito americano annuncia raramente i movimenti o le operazioni della sua flotta di sottomarini, figurarsi delle navi a propulsione nucleare, che anzi si muovono in un’aura quasi totale di segretezza. L’annuncio è un chiaro messaggio soprattutto nei confronti dell’Iran, grande nemico giurato di Israele, e dei suoi alleati nella regione, da Hamas a Hezbollah e alla Jihad Islamica.

Come sta andando la guerra in Israele

A un mese dal maxi attacco di Hamas, Israele ha inaugurato una nuova fase della sua risposta militare (ne avevamo parlato anche qui) e dice di aver circondato completamente Gaza City. Oltre alle incessanti bombe che cadono su Gaza, coinvolgendo migliaia di civili innocenti, lo Stato ebraico ha stretto gli avversari in una striscia della Striscia, avanzando anche con carri armati e truppe di terra. Il taglio delle comunicazioni e le continue chiusure del Valico di Rafah impediscono l’evacuazione delle persone verso l’Egitto. Dall’altro lato Hamas non molla, forte dell’imperituro sostegno dell’Iran e della discesa in campo di Hezbollah dal Libano e dei ribelli Houthi dallo Yemen.

I fondamentalisti palestinesi accusano Israele di colpire gli ospedali e chiede un’indagine internazionale per respingere le accuse israeliane di un utilizzo dei centri ospedalieri da parte di Hamas come “scudi” per proteggere armi e miliziani. In mezzo, in quanto egemone globale, si trovano gli Stati Uniti. Il Segretario di Stato Antony Blinken è volato in Medio Oriente per incontrare il capo dell’autorità palestinese Abu Mazen a Ramallah, in Giordania, oltre che per discutere col premier israeliano Netanyahu e i vertici israeliani. L’obiettivo principale resta la liberazione degli ostaggi, che non può prescindere dal raggiungimento di una tregua umanitaria che lo Stato ebraico non vuole però concedere. Intanto, come nei decenni passati, dal valico di Rafah i camion di aiuti lasciati transitare risultano “ampiamente insufficienti”, come certificato anche dall’Onu. La popolazione sotto assedio si ritrova perfino senz’acqua da bere.