Israele vuole fare la guerra a Hezbollah, ma sarebbe un disastro

Mentre è impegnato ancora a combattere Hamas nella Striscia di Gaza, Israele minaccia di aprire un fronte di guerra diretta anche con Hezbollah in Libano. Con conseguenze ancora più tragiche

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Mentre i negoziati con Hamas si aprono e si infrangono sugli scogli delle opposte fazioni, Israele prosegue nei suoi raid contro i civili della Striscia di Gaza e nei suoi attacchi a bassa intensità contro posizioni di Hezbollah in Libano.

Proprio il conflitto latente con il “Partito di Dio” filo-iraniano, almeno 10 volte più potente dei “colleghi” di Hamas dal punto di vista militare, minaccia di esplodere e di aggravare la situazione in Medio Oriente. Anche perché causerebbe un probabile intervento diretto di Teheran nel conflitto. Gli Usa ne sono consapevoli, e infatti hanno dissuaso lo Stato ebraico dai suoi propositi bellici alla frontiera nord.

Venti di guerra tra Israele e Libano controllato da Hezbollah

Sono ormai diverse settimane che l’amministrazione Biden ha messo in guardia Israele contro l’idea di “una guerra limitata” in Libano e ha avvertito che potrebbe spingere l’Iran a intervenire. Lo scontro fra Stato ebraico e Hezbollah, acuitosi in concomitanza con il maxi attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, si è drammaticamente intensificato nell’ultimo mese, con lancio notevole di razzi e bombe da entrambe le parti. Circostanza che ha spinto diversi funzionari delle Forze di Difesa Israeliane e del governo a chiedere un’espansione significativa della lotta contro gli islamisti libanesi.

Washington non ritiene che una “piccola guerra regionale” sia un’opzione realistica, perché sarà difficile impedire che si allarghi e si espanda. Tuttavia per la Casa Bianca sarà impossibile riportare la distensione al confine israelo-libanese senza prima aver concluso un cessate il fuoco a Gaza. Gli Stati Uniti e la Francia hanno cercato di trovare una soluzione diplomatica per ridurre le tensioni al confine, ma non hanno registrato progressi. Una delle preoccupazioni più vibranti dell’amministrazione Biden è che il Libano potrebbe essere inondato di combattenti delle milizie filo-iraniane in Siria, Iraq e persino nello Yemen che vorrebbero unirsi ai combattimenti. Un funzionario dell’esercito israeliano ha dichiarato che una guerra con Hezbollah o un’operazione limitata in Libano avrebbero “enormi implicazioni” per Tel Aviv in termini di costi di vite umane e di risorse da dirottare e impiegare. I problemi al confine tra Israele e Libano hanno costretto oltre 60mila israeliani a sfollare villaggi e città, ormai deserti da mesi.

Proseguendo lo scontro a bassa intensità, i miliziani di Hezbollah cercano di minare ulteriormente l’immagine di Israele come grande potenza securitaria del Medio Oriente, perseguendo l’agenda comune a Iran e milizie sciite di distruggere la normalizzazione diplomatica fra Stato ebraico e monarchie arabe, incarnata dagli Accordi di Abramo. Ecco che, per la prima volta, i fondamentalisti libanesi hanno celebrato in lungo e in largo di essere riusciti a respingere l’attacco di un jet israeliano sparando missili terra-aria in direzione del velivolo militare nemico che aveva violato lo spazio aereo del Paese. Secondo i media libanesi, in contatto con l’ufficio stampa di Hezbollah, si tratta della prima volta che i combattenti del partito lanciano missili contro jet da guerra israeliani. Finora Hezbollah aveva annunciato – quattro volte nelle ultime settimane – di aver abbattuto altrettanti droni israeliani: due Hermes 900 e due Hermes 450.

La storia dell’italo-israeliano ucciso da Hezbollah

Per marcare il fatto che la minaccia di Hezbollah è crescente e altrettanto pericolosa per tutto l’Occidente, è stata pompata la notizia di un soldato italo-israeliano delle Idf ucciso in un attacco degli islamisti libanesi nel nord di Israele. Lo stesso ministro Antonio Tajani ha riferito della morte del riservista 39enne Rafael Kauders, membro della Brigata Alon per la quale prestava servizio come coordinatore del Rabbinato militare, che ha tra l’altro ricevuto la promozione postuma a sergente. Era rimasto gravemente ferito mercoledì in un attacco con droni carichi di esplosivo contro la cittadina drusa di Hurfeish, a diversi chilometri dal confine con il Libano. Un’operazione rivendicata dai miliziani filo-iraniani, che hanno affermato di aver colpito una postazione dell’esercito israeliano nella zona in risposta alle operazioni nemiche. Compreso quello che martedì a Naqoura ha provocato la morte di un membro del braccio armato del “Partito di Dio”.

Kauders è il primo italo-israeliano che perde la vita in combattimento da quando, dopo il massacro del 7 ottobre da parte di Hamas, le forze di Hezbollah hanno attaccato quotidianamente dal Libano le comunità israeliane e le postazioni militari lungo il confine. Usando, oltre ai droni suicidi, anche missili guidati anticarro e ondate di razzi. La parte italiana della genealogia del 39enne è rappresentata dai suoi nonni paterni Edmundo e Margarita, nati a Milano e fuggiti in Svizzera durante la Seconda Guerra Mondiale per sottrarsi a fascisti e nazisti. La famiglia si trasferì poi in Israele in seguito alla Guerra dei Sei Giorni del 1967. Una zia di Kauders, Bianca Shahrur, è rimasta vittima di un attentato terroristico compiuto nel 2003 a Gerusalemme. Il riservista si era laureato in Filosofia, era sposato con Yehudit e aveva quattro figli. Le Idf intanto indagano sul motivo per cui le sirene non hanno suonato quando almeno due droni sono stati lanciati a pochi minuti l’uno dall’altro dal territorio libanese verso il nord di Israele. Nell’attacco contro Hurfeish 12 israeliani sono rimasti feriti, compreso uno dei paramedici delle squadre di soccorso prese di mira sistematicamente dai lanci di Hezbollah.

Dall’8 ottobre 2023 gli attacchi dal Libano hanno provocato la morte di 10 civili israeliani e di 15 tra soldati e riservisti delle Idf. Centinaia di migliaia di cittadini ebraici che vivevano nell’area di confine sono state evacuate otto mesi fa. Nei giorni scorsi il Capo di Stato maggiore delle Idf Herzi Halevi, in visita al fronte settentrionale, ha diffuso un messaggio che fa ben comprendere quanto la situazione rischi di precipitare: “Ci stiamo avvicinando al punto in cui devono essere prese decisioni. L’esercito è pronto per una guerra in Libano“. Il giorno dopo anche il premier Benjamin Netanyahu, in visita a Kiryat Shmona dove sono scoppiati vasti incendi a causa dei lanci di Hezbollah, ha rafforzato il concetto: “Siamo pronti ad un’azione molto forte nel Nord”.

Perché Israele e Hezbollah sono nemici

Al di là del fare gli interessi militari dell’Iran, Hezbollah ha una sua agenda e i suoi personali motivi per opporsi a Israele. Quest’ultimo e il Libano sono in stato di guerra da decenni, da quando lo Stato ebraico lanciò una devastante invasione nel 1982, inviando carri armati fino alla capitale Beirut, dopo essere stato attaccato a sua volta dai militanti palestinesi nel Paese. Israele ha poi occupato il Libano meridionale per 22 anni, finché non è stato cacciato proprio da Hezbollah nel 2000. Per questo motivo, in Libano il “Partito di Dio” è ufficialmente considerato un gruppo di “resistenza” incaricato di affrontare Israele, che Beirut classifica come uno Stato nemico. Ovviamente, dall’altro lato, gran parte del mondo occidentale ha designato Hezbollah come un’organizzazione terroristica.

Da allora le due parti si sono scontrate sporadicamente, fino alla grande escalation del 2006, quando Israele è intervenuto in forze nel sud del Libano dopo che Hezbollah aveva rapito due soldati israeliani. In quel conflitto furono uccisi più di mille libanesi, perlopiù civili, così come 49 civili israeliani e 121 soldati. Due anni dopo, Hezbollah restituì i resti dei militari rapiti in cambio del rilascio dei prigionieri libanesi e palestinesi nelle carceri israeliane, nonché dei corpi dei militanti detenuti da Israele. Un copione già visto, sì. Le ostilità tra Israele e Hezbollah sono cresciute nuovamente dopo il fatidico 7 ottobre. Ciò ha spinto Tel Aviv a entrare in guerra contro Hamas a Gaza con la ferocia che ben conosciamo, radendo al suolo gran parte degli insediamenti nella Striscia e uccidendo oltre 36mila civili palestinesi. Hezbollah ha quindi potuto aggiungere come giustificazione della sua “guerra giusta” anche la causa palestinese.

La capacità militare del gruppo libanese è cresciuta dal 2006, quando faceva affidamento in gran parte sugli imprecisi razzi Katyusha di produzione sovietica. Oggi il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, sostiene che il suo gruppo vanta più di 100mila combattenti e riservisti. Si ritiene inoltre che l’arsenale includa oltre 150mila razzi, che potrebbero sopraffare le difese di Israele nel caso scoppiasse una guerra totale.

Perché una guerra aperta tra Israele e Hezbollah sarebbe disastrosa

Sostenuto dall’Iran, Hezbollah rappresenta di fatto la più grande minaccia militare per Israele. Come ha dimostrato appunto nel 2006, quando resistette all’assalto a tutto campo di Tel Aviv. Da allora il gruppo libanese non ha fatto altro che rafforzarsi, accumulando armi sempre più sofisticate ed esperienza e combattendo al fianco del governo siriano. E incrementando anche il suo risentimento verso lo Stato ebraico e la sua “dottrina Dahiya” di guerra asimmetrica – dal nome di un quartiere di Beirut controllato da Hezbollah – che prevede di prendere di mira le infrastrutture civili. Nonostante i proclami e le minacce odierne, Israele non avrebbe l’intenzione di invadere la parte di Libano controllata da Hezbollah. E, dall’altro lato della barricata, anche i fondamentalisti sciiti hanno tutto l’interesse a non accelerare l’escalation col nemico confinante. In altre parole a Iran e Hezbollah conviene che il conflitto resti a bassa intensità e tenga impegnato Israele a lungo, mentre dall’altra parte c’è più urgenza di inasprire il conflitto ma manche l’opportunità e la forza necessarie.

Per gli islamisti libanesi la contesa territoriale con lo Stato ebraico resta strategica, e per questo l’obbedienza tattica all’Iran non deve superare la linea rossa del soccorso estremo in caso di pericolo esistenziale per Teheran. Secondo Imad Salamey, professore associato presso la Lebanese American University, dall’altra parte Israele sta affrontando sfide significative su più fronti, comprese le minacce alla sicurezza regionale e le tensioni socio-politiche interne. Un’invasione comporterebbe probabilmente un’ancor più severa condanna internazionale e relazioni tese con i principali alleati, in particolare gli Stati Uniti. Con inevitabile compromissione del loro sostegno al Paese. I vertici israeliani hanno tuttavia il fondato timore che Hezbollah attaccherà gli avamposti militari e le comunità oltre confine. E, soprattutto, non credono al “Partito di Dio” quando dice che smetterà di attaccare lo Stato ebraico se verrà concordato un cessate il fuoco a Gaza. Anche perché Hezbollah obbedisce al principio tattico primario di tenere sotto costante pressione Israele, dimostrando la propria capacità di colpire. È pertanto ragionevole aspettarsi che i combattimenti si intensificheranno man mano che entrambe le parti cercheranno di acquisire influenza nei negoziati.

Da ottobre 2023 a giugno 2024 Israele ha ucciso circa 320 miliziani e 80 civili libanesi. Dal 7 ottobre 2023 si sono registrati oltre lanci di 4.400 razzi e missili da parte di entrambi gli schieramenti. Hezbollah ha inoltre ripetutamente violato la risoluzione 1701 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dispiegando forze e lanciando missili guidati anticarro e altre armi contro lo Stato ebraico. Le inevitabili voci di vendetta lasciano tuttavia spazio alla consapevolezza che una lunga guerra di logoramento nuocerebbe a entrambe le parti. Come ha dimostrato lo sfollamento di circa 100mila civili dal Sud del Libano. Come Israele, anche Hezbollah ha bisogno di mantenere coeso il fronte interno, senza però dare segni di cedimento bellico. Da qui il boom delle raccolte fondi online con cui i fondamentalisti chiedono risorse per acquistare nuovi armamenti, oltre ai potentissimi già in loro possesso, per meglio difendere la frontiera meridionale. La narrazione sciita libanese celebra anche la direttrice economica opposta: le autorità libanesi hanno annunciato un indennizzo di circa 20mila dollari (statunitensi, nel senso di forniti dagli Usa) a ogni famiglia che ha perso un proprio caro nei raid israeliani.

Alla fine né Israele né Hezbollah, così come i loro sponsor Usa e Iran, vogliono la guerra aperta. Eppure stanno scivolando verso il conflitto ad alta intensità, in un’escalation finora “al rallentatore” che prende sempre più velocità. Senza escludere dall’equazione anche il fattore Netanyahu, per il quale l’apertura di un altro fronte di guerra significherebbe allontanare la sua fine politica per motivi di forza maggiore, ricompattando il fronte estremista che percepisce il freno a mano tirato nel conflitto contro l’Iran e i suoi satelliti. Lo Stato ebraico avrebbe dunque intenzione di lanciare un’offensiva su larga scala contro Beirut e le roccaforti di Hezbollah entro l’estate, moltiplicando il fronte e allargando il conflitto. Ci riuscirà? È segno che prima ha intenzione di farla finita con la guerra per Gaza?