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Il 26 novembre i leader della maggioranza si sono riuniti in un vertice a Palazzo Chigi per discutere degli emendamenti della Manovra 2026. Sono stati molti i provvedimenti respinti per assenza di coperture economiche. Opzione Donna non troverà posto all’interno della Legge di Bilancio. Secondo l’emendamento, proposto e firmato da Paola Mancini di Fratelli d’Italia, i termini per maturare i requisiti necessari al pensionamento sarebbero dovuti essere posticipati al 31 dicembre 2025. Attualmente restano validi i criteri promulgati con la Legge di Bilancio 2025 (fine dicembre 2024).
Nonostante la bocciatura in Commissione Bilancio del Senato, la rappresentante del primo partito di governo chiederà una riformulazione delle coperture economiche per riammettere l’emendamento che avrà come effetto la naturale proroga della pensione anticipata pensate per le italiane.
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I requisiti di Opzione Donna nel 2025
Con la legge 243/2004, più conosciuta come legge Maroni, si inaugurava una stagione di pensionamenti dedicati a contribuenti che corrispondevano a categorie molto specifiche.
La prima edizione dava la possibilità di lasciare il lavoro a tutte le donne che soddisfacevano entro il 31 dicembre 2015 le seguenti caratteristiche:
almeno 57 anni anagrafici se dipendenti, 58 se libere professioniste;
almeno 35 anni di contributi versati.
Opzione Donna è il nome con cui negli anni è stato chiamato l'articolo della Legge di Bilancio che ha permesso a molte cittadine di accedere alla pensione anticipata. La misura economica, non troppo diversa da come abbiamo imparato a conoscerla, infatti, esiste così denominata dal 2023.
Vediamo insieme quali sono i requisiti necessari alle lavoratrici per poter fare richiesta di pensionamento con Opzione Donna nella Legge di Bilancio 2025 (quella dello scorso anno).
Se consideriamo l'anzianità contributiva, bisogna aver versato una quota del proprio stipendio lordo per almeno 35 anni entro il 31 dicembre 2024. Per quanto riguarda l'età, è necessario fare alcune differenziazioni.
Occorrono:
minimo 61 anni per donne senza figli;
60 anni per le madri di almeno un figlio;
59 anni per le madri di due figli;
59 anni per le assistenti di un familiare con disabilità grave o per le titolari di invalidità civile a partire dal 74%
Rientrano nelle condizioni particolari di pensionamento anche:
le donne caregiver (cioè, quelle che offrono assistenza familiare continuativa);
le lavoratrici con invalidità civile ≥ 74%;
quelle che erano state licenziate da un'azienda in crisi o che erano dipendenti di una società in grave dissesto economico.
In pensione prima o dopo, ma sempre più povere
Il fatto che le istituzioni abbiano iniziato a valutare il lavoro domestico e di cura della famiglia per bilanciare la sacrosanta stanchezza di appena 35 anni di servizio delle lavoratrici è cosa buona.
Il cedolino, però, sarà più basso in media del 14%, secondo quanto riporta l'Inps, rispetto alle colleghe che vogliono o possono permettersi di scegliere di andare in pensione a 67 anni.
Tuttavia, proprio perché le donne si sono sempre dovute dividere tra professione, casa, genitori anziani e figli, in media anche quando non decidono di anticipare l'interruzione del rapporto lavorativo percepiscono un'indennità del 24% più bassa di quella degli uomini.
Pagano economicamente durante la propria vecchiaia la scelta ineluttabile di essersi dedicate anche ad altro, esattamente come da giovani hanno accolto lavori poveri e spesso part-time per sopperire alle lacune mai colmate del welfare italiano, quelle che non hanno permesso loro di delegare l'educazione dei figli o l'assistenza ai genitori infermi.