L’intelligenza artificiale travolge ogni ambito professionale e l’industria dell’intrattenimento non fa eccezione, con attori, sceneggiatori, designer e persone coinvolte a qualsiasi titolo che temono di essere sostituiti da un algoritmo.
Il Ministero della Cultura ha convocato per il 4 marzo le principali piattaforme di streaming, tra cui Netflix, Amazon Prime Video, Disney+, Paramount e Warner Bros Discovery, per discutere dell’uso dell’intelligenza artificiale nelle produzioni audiovisive, relativamente alle tutele contrattuali di artisti e sceneggiatori.
Intelligenza artificiale in film e serie tv
L’incontro è stato sollecitato dalle preoccupazioni di associazioni di categoria come Unita, Lara e Asa, che denunciano clausole contrattuali potenzialmente lesive dei diritti dei lavoratori. Sarà presente il sottosegretario al ministero della Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni.
Sono molti gli argomenti sul tavolo. Le principali criticità riguardano:
- le repliche digitali degli attori, con le piattaforme che potrebbero utilizzare l’intelligenza artificiale per “clonare” la voce (come avvenuto ad esempio nella truffa del falso Crosetto) e l’aspetto degli attori, senza limiti chiari di utilizzo;
- l’incertezza sui compensi, dal momento che non sempre è garantito un pagamento aggiuntivo per l’uso delle repliche digitali, salvo alcuni casi specifici;
- c’è poi l’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella scrittura delle sceneggiature, con alcuni contratti che potrebbero prevedere l’impiego degli elaborati degli sceneggiatori per addestrare gli algoritmi, senza una regolamentazione adeguata. Il rischio, per gli sceneggiatori, è quello di venire scalzati da una serie di istruzioni informatiche addestrate a scrivere secondo lo stile di ciascuno di loro.
Quali limiti per l’AI applicata all’intrattenimento
E in effetti, in uno dei contratti proposti da alcune piattaforme di streaming si legge che “La Società può utilizzare tecnologie digitali ai fini della creazione e dell’utilizzo di una o più repliche digitali della voce e/o immagine dell’Interprete”. E ancora: “Le Repliche Digitali potranno essere utilizzate in qualsiasi scena del Programma, a prescindere dal fatto che tali scene siano state precedentemente interpretate dall’Interprete e/o siano incluse nel copione”.
In questo caso i nodi da sciogliere sono almeno due: è accettabile che la replica digitale di un attore venga mostrata in video, anche in una scena che egli non ha fisicamente girato? E in questo caso, il compenso a chi dovrebbe andare? All’attore i cui lineamenti sono stati replicati digitalmente, alla società che ha commissionato e comprato il programma di intelligenza artificiale o al tecnico che ha scritto il prompt di comando per istruire gli algoritmi?
Ma la questione è molto più ampia, dal momento che riguarda anche i diritti di sfruttamento di immagine degli attori che, in prospettiva, moriranno con il passare degli anni e la cui fisionomia potrebbe ancora essere sfruttata dalle piattaforme di streaming per nuove produzioni.
Perché il ministero ha margini d’azione limitati
Al di là dei singoli casi riportati e degli attori in gioco, il Mic avrebbe intenzione di imbastire un ragionamento di largo respiro, superando le criticità correlate ai singoli casi, come riportato dal Sole 24 Ore.
Il Ministero della Cultura ha ricevuto rassicurazioni su possibili modifiche contrattuali, ma al momento può intervenire solo sulle produzioni che beneficiano del tax credit. È in discussione anche una proposta di legge per regolare meglio il settore.