Quando un’impresa si trova ad attraversare un periodo di forte crisi economica e di calo del fatturato, potrebbe imbattersi nella necessità di ridurre il personale. Non si tratta dunque di dover fare a meno di una sola persona, perché altrimenti entrerebbe in gioco il mero licenziamento individuale e, in particolare, per giustificato motivo oggettivo.
In questo articolo invece parleremo della scelta più drastica, rappresentata dal licenziamento collettivo, che sussiste quando un’azienda o datore di lavoro licenzia più dipendenti allo stesso modo. Ma qual è la procedura da attivare? E a quali condizioni? Inoltre, i lavoratori licenziati potranno opporsi? E se sì, in quali casi? Di seguito tutte le risposte utili a fare chiarezza, nella nostra sintetica guida.
Indice
Cos’è il licenziamento collettivo
Essenzialmente il licenziamento collettivo è una pratica di mobilità aziendale e una procedura di cui l’azienda si avvale in caso di:
- trasformazione dell’attività di lavoro o della linea di produzione, con l’inserimento di nuove tecnologie, procedure e macchinari e l’abbandono di determinate attività, servizi e prodotti
- riduzione di personale, legata ad una crisi aziendale o ad una ristrutturazione che non permette più di sostenere tutti i costi degli stipendi e dei contributi
Anche le acquisizioni, fusioni o scissioni comportano il cambiamento della struttura aziendale e potrebbero essere alla base di un licenziamento collettivo.
In altri termini, si tratta di fatto di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo più esteso di quello individuale, in quanto l’azienda non potrà disporlo a suo piacimento o secondo discrezionalità, ma soltanto se ricorrono motivi oggettivi legati al profitto e alla ‘sopravvivenza’ stessa del luogo di lavoro.
La legge indica alcuni criteri da seguire per stabilire chi licenziare per questa via. Per es. elementi come l’anzianità di servizio maggiore, la presenza di consistenti carichi di famiglia o il possesso di competenze e professionalità specifiche potrebbero giocare a favore della permanenza in azienda, e portare il datore di lavoro a licenziare ad es. chi è più giovane e con meno esperienza in azienda oppure chi non ha figli a carico.
Come si può intuire, dovrà trattarsi comunque di scelte legate a fattori oggettivi e senza componenti discriminatorie (ad es. licenziamento di più persone per motivi di orientamento politico oppure religioso).
Quando è licenziamento collettivo? Il requisito numerico
A differenza del licenziamento individuale come ad es. quello disciplinare, in questi casi occorrerà fare attenzione però ai numeri. Infatti la legge qualifica un licenziamento come ‘collettivo’, laddove un datore di lavoro, in un lasso di tempo pari a 120 giorni, scelga di compiere:
- almeno 5 licenziamenti in un’unità produttiva con più di 15 lavoratori subordinati
- almeno 10 licenziamenti in più unità produttive localizzate nella stessa provincia, con più di 15 lavoratori subordinati in ognuna
- almeno 20 licenziamenti in più unità produttive localizzate in più province, con più di 15 lavoratori subordinati in ognuna
In ogni caso, il licenziamento collettivo dovrà essere la conseguenza immediata e diretta delle novità aziendali, che non consentono di mantenere invariato il numero di dipendenti sotto contratto.
Anche le aziende con personale in CIGS – Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria – ossia luoghi di lavoro che includono dipendenti in esubero, possono servirsi di questo strumento, con cui il datore di lavoro riconosce l’impossibilità di effettuare un risanamento dell’azienda utile di evitare il licenziamento collettivo.
Le fasi della procedura di licenziamento collettivo
Posto che di mezzo ci sono i diritti dei lavoratori subordinati che si trovano, collettivamente, a rischio di perdere il posto di lavoro, va da sé che detta procedura sia articolata e preveda più fasi in un’ottica ‘garantistica’. Infatti l’azienda o datore di lavoro dovrà:
- rendere noto l’avvio della procedura alle RSA e alle associazioni di categoria, tramite una comunicazione preventiva sulle ragioni, il numero ed i profili professionali dei lavoratori ritenuti in esubero
- inviare una comunicazione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e alla Direzione Territoriale del Lavoro
- sedersi ad un tavolo con le rappresentanze sindacali al fine di trattare delle possibili alternative al licenziamento collettivo e della scelta di quali lavoratori licenziare
Proprio quest’ultimo punto merita un approfondimento specifico. RSA e le associazioni sindacali possono domandare entro 7 giorni dalla comunicazione di apertura un esame articolato, allo scopo di esaminare le cause degli esuberi, le chance concrete di reimpiego dei lavoratori eccedenti, ma anche eventuali misure sociali di riqualificazione e riconversione dei dipendenti licenziati. L’esame può concludersi con la stipula di un accordo sindacale, ma non è obbligatorio.
Nell’ambito delle trattative tra datore di lavoro e sindacati – cd. fase sindacale – l’obiettivo sarà dunque quello di trovare un accordo che possa portare a soluzioni diverse e meno dolorose del licenziamento collettivo. Il distacco di lavoratori presso altre imprese, l’accompagnamento agevolato dei dipendenti più anziani verso la pensione o l’assegnazione dei lavoratori a diverse mansioni potranno essere tra le alternative prescelte.
Licenziamento con o senza accordo sindacale
Terminata la procedura, indipendentemente dal raggiungimento di un accordo, il datore di lavoro potrà licenziare i lavoratori in esubero seguendo specifici criteri di scelta. In altre parole, l’effettiva valutazione dei lavoratori, e delle lavoratrici, da licenziare terrà conto di criteri distinti, a seconda che ci sia, o meno, un accordo con i sindacati:
- in mancanza di accordo sindacale, i criteri di scelta sono quelli sopra accennati e suggeriti dalla legge, come ad es. il carico famigliare o l’anzianità di servizio in azienda. Lo scopo è quello di operare una scelta sì dolorosa, ma che tenga oggettivamente conto delle necessità organizzative e produttive del luogo di lavoro
- in presenza di un accordo aziendale, il datore di lavoro troverà una linea comune di licenziamento collettivo con i sindacati, agendo in buona fede, correttezza e rispettando il principio di non discriminazione dei lavoratori
In ogni caso, i lavoratori da licenziare avranno diritto ad un congruo avviso, il cui anticipo rispetto alla data di recesso varia in base all’anzianità di servizio e alla posizione occupata in azienda. Di riferimento sarà, sempre e comunque, il contratto collettivo di categoria.
Comunicazione del licenziamento
I dipendenti non potranno essere scelti con discrezionalità, ma dovranno essere rispettati i criteri di individuazione fissati dall’accordo sindacale ovvero, in assenza, previsti in via sussidiaria dalla legge. I licenziamenti dovranno essere intimati nel lasso di tempo pari a 120 giorni dalla conclusione della procedura, tranne che l’accordo sindacale disponga diversamente.
Pertanto, dopo aver individuato i lavoratori da licenziare, la procedura viene loro comunicata formalmente, mediante atto scritto di recesso individuale che contenga obbligatoriamente i motivi del licenziamento, il periodo di preavviso e i criteri di scelta utilizzati.
Quando un licenziamento collettivo è illegittimo
Come già per i licenziamenti individuali, i quali potrebbero rivelarsi discriminatori e lesivi dei diritti del dipendente, anche quelli collettivi possono essere illegittimi, e dunque utilmente contestabili ed impugnabili da parte dei lavoratori.
Basti pensare ai casi delle violazioni delle normative di legge, qualora il datore di lavoro non rispetti i requisiti procedurali o non consulti i rappresentanti dei lavoratori, o quando adotti il recesso per motivi discriminatori, come ragioni legate al genere, all’etnia o all’orientamento sessuale. Anche i licenziamenti collettivi che non rispettano quanto previsto negli accordi sindacali, possono essere certamente impugnati.
Ma un licenziamento di questo tipo può essere impugnato anche per assenza di giustificazione oggettiva, ossia se non emergono valide ragioni aziendali per il licenziamento collettivo. Si tratta del caso in cui l’azienda non ha una reale riduzione di costi e deve solo limitatamente apporre variazione alla struttura e organizzazione. Ovviamente questi elementi di illegittimità andranno debitamente provati dal lavoratore o dai lavoratori interessati.
Come opporsi al licenziamento collettivo
Abbiamo visto finora a quali condizioni può aversi un licenziamento collettivo, ma quest’ultimo – come accennato poco sopra – può essere validamente contestato perché illegittimo.
Facendo chiarezza, ricordiamo che i dipendenti che ritengono di aver subito una lesione dei loro diritti (ad es. per discriminazione rispetto ad altri) potranno contestare il licenziamento collettivo in due step diversi:
- entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso datoriale, dovranno inviare una lettera di contestazione all’azienda. Nel testo sarà sufficiente che emerga la contrarietà della scelta e la volontà di opporsi, mentre non serve dettagliare le ragioni dell’impugnazione
- nei posteriori 180 giorni dall’invio di questa comunicazione scritta, i lavoratori che vogliono impugnare la scelta aziendale devono depositare il ricorso in tribunale o richiedere il tentativo di conciliazione in sede protetta, oppure ricorrendo all’istituto dell’arbitrato
Si tratta di due distinte alternative a disposizioni di chi ritenga che il licenziamento collettivo sia inficiato all’origine oppure sia stato caratterizzato dal mancato rispetto delle regole procedurali.
I poteri del giudice
Visti i criteri e le modalità con cui può essere effettuato il licenziamento collettivo, e come impugnare quest’ultimo, ricordiamo che il giudice del lavoro potrà verificare nel dettaglio e nel merito la regolarità formale della procedura, la sussistenza dei requisiti e la corretta applicazione di tutti i criteri previsti. Non solo. Laddove il procedimento presenti vizi di forma, il giudice potrà ritenere illegittimo il licenziamento collettivo.
Di seguito i lavoratori illegittimamente licenziati potranno essere reintegrati nell’organico oppure potranno contare sul versamento di un’indennità risarcitoria o sostitutiva, la cui entità viene stabilita dal giudice. Il lavoratore, o la lavoratrice, avrà altresì diritto al versamento della contribuzione previdenziale per il periodo di illegittima estromissione.
Un’ulteriore forma di tutela per i lavoratori licenziati prevede inoltre che, nel caso in cui la stessa azienda entro sei mesi dal provvedimento faccia richiesta di nuove posizioni e qualifiche analoghe a quelle dei dipendenti sollevati dal lavoro, gli stessi godono di diritto di precedenza alla riassunzione.