Il caso della prof assente da scuola per 20 anni

La docente è stata destituita dal suo incarico con una sentenza della Cassazione che ha confermato la sospensione decisa dal Miur per "inettitudine assoluta"

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

Per 10 anni è stata assente e per altri 14 in malattia, per un totale di 20 anni su 24 di carriera passati lontani dalla sua cattedra. È la storia da Guinness dei primati di una professoressa di storia e filosofia di un liceo di Chioggia, in provincia di Venezia, sollevata dall’incarico dal ministero dell’Istruzione per “inettitudine permanente e assoluta” e destituita definitivamente con sentenza della corte di Cassazione.

La vicenda

Le verifiche degli ispettori del Miur erano scattate nel 2015 e nel 2016 in seguito alle segnalazioni degli studenti nei pochi mesi in cui la docente è stata presente in classe.

Gli alunni avrebbero protestato per la “casualità” nell’assegnazione dei voti e l’impreparazione dell’insegnante e le lamentele hanno trovato conferma nella successiva ispezione del Ministero, nella quale è emerso come effettivamente la professoressa si distraesse al cellulare mentre interrogava, oltre al presentarsi regolarmente in aula senza libri di testo (qui avevamo parlato del piano Valditara per le assunzioni a scuola).

Nel rapporto si rilevava da parte della docente, inoltre, un'”assenza di criteri sostenibili nell’attribuire voti, la non chiarezza e confusione nelle spiegazioni, l’improvvisazione, la lettura pedissequa del libro di testo preso in prestito dall’alunno (non ne avrebbe mai portato uno con sé, ndr), l’assenza di filo logico nella sequenza delle lezioni, l’attribuzione di voti in modo estemporaneo ed umorale, la pessima modalità di organizzazione e predisposizione delle verifiche”.

Gli ispettori del ministero sottolineavano nella relazione finale, inoltre, “gravi imprecisioni nel redigere i programmi finali delle classi quarte (ad esempio, programma e numero di ore diversi da quelli effettivamente dedicati alle spiegazioni, argomento su Hegel in realtà mai trattato in classe)”.

In seguito alla sospensione l’insegnante ha fatto appello alla “libertà di insegnamento” con ricorso del Tribunale di Venezia. In quel caso il giudice del lavoro ha respinto la decisione del Miur, ritenendo la durata dell’ispezione non sufficiente a valutare il rendimento dell’insegnante, nonostante ammettesse “la disorganizzazione e faciloneria” della professoressa (qui abbiamo scritto dell’estensione del bonus 500 euro anche ai docenti precari).

La sentenza della Cassazione

Dopo il giudizio contro la docente da parte della Corte d’appello di Venezia, il ricorso è stato bocciato in definitiva dalla Corte di Cassazione che nella sentenza ha sottolineato come fosse “impossibile esaminare periodi più lunghi di quelli oggetto di ispezione (5 mesi nel 2015, gli unici lavorati, idem febbraio 2016)”  dato che la docente ha insegnato per un totale di 4 anni in tutta la sua carriera.

“La liberà di insegnamento in ambito scolastico – sottolinea la Suprema Corte – è intesa come autonomia didattica diretta e funzionale a una piena formazione della personalità degli alunni, titolari di un vero e proprio diritto allo studio”.

“Non è dunque libertà fine a se stessa, ma il suo esercizio – prosegue il verdetto 17897 – attraverso l’autonomia didattica del singolo insegnante, costituisce il modo per garantire il diritto allo studio di ogni alunno e, in ultima analisi, la piena formazione della personalità dei discenti”.

Secondo le motivazioni dei giudici di Cassazione il concetto di libertà didattica “comprende certo una autonomia nella scelta di metodi appropriati di insegnamento” ma questo “non significa che l’insegnante possa non attuare alcun metodo o che possa non organizzare e non strutturare le lezioni”.