Sorprendentemente, lo spreco sta diminuendo in otto Paesi del mondo, inclusa l’Italia, dove la quantità di cibo sprecato è scesa di circa il 25%, stabilizzandosi a 469,4 grammi settimanali. Questo segna un significativo calo rispetto all’estate del 2022 (-125,9 grammi) e alla rilevazione dello scorso gennaio (-54,7 grammi). Negli Stati Uniti, storicamente meno attenti al fenomeno, lo spreco alimentare è diminuito del 35%, raggiungendo quota 859,4 grammi settimanali, un calo record di 479 grammi rispetto al 2022. Questi sono alcuni dei dati che emergono dal Rapporto globale sul rapporto fra cibo e spreco di Waste Watcher, International Observatory on Food & Sustainability, promossa dalla campagna Spreco Zero di Last Minute Market con il monitoraggio Ipsos.
Mentre la Spagna e la Francia si attestano come i paesi più virtuosi in Europa, con rispettivamente 446 e 459 grammi di cibo sprecato settimanalmente, la Germania sorprende con una riduzione clamorosa del 43%, portando il suo spreco medio a quota 512,9 grammi settimanali, una diminuzione di 379,5 grammi. Uno dei dati più interessanti che emerge dall’indagine riguarda la frutta, che è l’alimento più sprecato del pianeta. Questa conclusione è supportata dai dati raccolti da oltre 8.000 cittadini in tutto il mondo, mettendo in luce l’urgenza di affrontare questa problematica a livello globale.
Nella giornata mondiale di consapevolezza degli sprechi e delle perdite alimentari, abbiamo intervistato il Prof. Andrea Segrè, economista e fondatore della campagna Spreco Zero, nonché direttore scientifico dell’Osservatorio Waste Watcher International. il Professor Segrè condivide la sua prospettiva sulla riduzione dello spreco alimentare e il suo impatto sulla sostenibilità del pianeta, fornendo insight preziosi su come affrontare questa sfida cruciale per il nostro futuro.
Prof Segrè, quali sono i fattori principali che hanno contribuito quest’anno a ridurre lo spreco alimentare?
La buona notizia è che effettivamente lo spreco, globalmente parlando, si è ridotto e in alcuni casi in modo molto significativo. Ad esempio, negli Stati Uniti, dove il punto di partenza era più basso. La cattiva notizia è che la causa principale è legata al quadro economico e sociale, in particolare all’inflazione, che ha colpito duramente i Paesi che abbiamo analizzato. Quindi c’è stato un cambiamento nei comportamenti legati agli acquisti, che ha portato a meno spreco, ma questa è una delle spiegazioni principali, soprattutto perché stiamo parlando di spreco domestico, quello che avviene in casa, senza coinvolgere altre fasi della catena alimentare. Quindi questo è il primo aspetto negativo. Inoltre, l’impoverimento delle famiglie, la crisi economica e l’inflazione colpiscono più duramente le fasce più deboli e povere della società. Quindi, sì, è vero che sprecano di meno perché acquistano di meno, ma finiscono per comprare alimenti con un basso valore nutrizionale, il che ha un impatto sulla salute e sui costi sanitari. Quindi, accanto a una buona notizia, ci sono due notizie negative.
Sarà difficile mantenere questo trend positivo quando i prezzi diminuiranno? In altre parole, è possibile trarre vantaggio da questa situazione?
Dovrebbe essere possibile, visto che ora siamo più attenti e c’è una maggiore disponibilità. Il cibo acquisisce un valore relativo più elevato, il che significa che siamo più attenti. È auspicabile che questo trend positivo si mantenesse. Per questo stiamo puntando sulla comunicazione e sull’educazione alimentare, affinché questa abitudine positiva rimanga. Tuttavia, abbiamo avuto un’esperienza negativa solo qualche anno fa. Durante la pandemia, quando eravamo tutti chiusi in casa, lo spreco è diminuito notevolmente. Abbiamo fatto tutti e tre i pasti a casa, abbiamo applicato le strategie dell’economia domestica, ma una volta superata la situazione, questo comportamento virtuoso non è rimasto nelle abitudini dei cittadini. L’obiettivo è mantenerlo, nonostante le esperienze passate non siano state così positive. Il nostro lavoro di comunicazione è rivolto a mostrare che, nonostante la crisi, possiamo continuare a sprecheremo meno.
Quali strategie concrete, sia economiche che educative, suggerirebbe per ridurre lo spreco?
Bene, in realtà questi due elementi sono collegati. Non sprecare significa risparmiare, perché se sprechi un alimento ancora buono da mangiare, che hai pagato, in realtà stai buttando soldi nella spazzatura. L’educazione alimentare è fondamentale perché abbiamo bisogno di insegnare alle persone come pianificare i loro consumi. Questo include la lettura corretta delle etichette delle scadenze, la comprensione del ruolo del packaging e l’uso corretto del frigorifero a temperature diverse. Sono tutte strategie che emergono chiaramente dal nostro rapporto e dovrebbero essere adottate per risparmiare, consumare meglio e dare più valore ai prodotti che consumiamo.
Concentrandosi sull’Italia, anche quest’anno i dati confermano che sprechiamo di meno rispetto agli altri Paesi, ma buttiamo via di più prodotti come frutta e cibi freschi. A cosa è dovuto questo fenomeno?
In effetti, l’Italia è uno dei Paesi che ha ridotto lo spreco pro capite in modo significativo. Siamo arrivati a meno di mezzo chilo, che è una sorta di soglia psicologica. Tuttavia, è importante guardare cosa costituisce questo spreco. Anche quest’anno, continuiamo a sprecare frutta fresca, verdura, insalate e pane, alimenti con un alto valore nutrizionale. Siamo essenzialmente sprecando la dieta mediterranea. Questo è un aspetto che dovrebbe farci riflettere e agire, perché mangiare male, con diete squilibrate, ha un impatto sulla nostra salute e sui costi sanitari.
Dal suo osservatorio, concorda sul fatto che ci sia stato un cambiamento nella sensibilità rispetto allo spreco alimentare negli ultimi anni?
Sì, direi di sì. Abbiamo visto un aumento dell’attenzione, specialmente grazie alla nostra campagna contro lo spreco, che è l’unica a livello nazionale in corso in modo continuativo dal 2010. Abbiamo ottenuto record storici di partecipazione e stiamo promuovendo eventi come la Giornata Nazionale del 5 febbraio e il premio Giver a Spreco Zero, che sono seguiti da numerosi follower. C’è sicuramente un aumento dell’attenzione, e il lavoro svolto a livello FAO e ONU è fondamentale.
Ma se vogliamo raggiungere l’obiettivo del 50% di riduzione, come stabilito nell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile al 2030 delle Nazioni Unite, dobbiamo fare di più. Abbiamo lanciato un’applicazione chiamata “Sprecometro” che aiuta le persone a ridurre lo spreco attraverso una rilevazione semplice e una metrica che misura il valore in euro, l’impronta idrica e l’impronta carbonica degli sprechi. Questo dà una mano ai cittadini a capire l’effetto del loro spreco e adottare buone pratiche.
Come si può nel dibattito pubblico trattare correttamente l’argomento dello spreco alimentare?
È importante condividere correttamente le informazioni. C’è spesso confusione tra recupero e spreco, quindi è essenziale fare chiarezza su questi concetti. Il recupero è importante, ma nella filiera alimentare, la prevenzione è fondamentale, soprattutto quando si tratta dello spreco domestico. Inviterei la stampa a fare questa distinzione.
Inoltre, è cruciale comprendere che la povertà è strettamente collegata allo spreco. Donare cibo in eccedenza è un’azione importante, ma la prevenzione a casa nostra è ciò su cui dovremmo concentrarci, perché una volta che il cibo viene sprecato, diventa irrecuperabile. È importante chiarire queste differenze e lavorare insieme per affrontare il problema dello spreco alimentare in modo efficace.