Proprio mentre il Parlamento europeo chiede un giro di vite sulle piattaforme e-commerce extra Ue, un nuovo report di Greenpeace riaccende i riflettori sul tema della sicurezza dei prodotti venduti online. L’Aula ha approvato una risoluzione che chiede alla Commissione e agli Stati membri di applicare con più rigore il Digital Services Act e le norme sui materiali. E di arrivare, nei casi più gravi e ripetuti, alla sospensione dei marketplace come Shein, Temu, AliExpress e Wish.
La richiesta nasce da una doppia urgenza:
- l’enorme crescita dei pacchi spediti dall’Asia (4,6 miliardi in un anno);
- la difficoltà delle autorità nel verificarne la conformità.
Lo scenario permette, come abbiamo visto con il recente scandalo scoppiato in Francia, a oggetti pericolosi, non certificati o vietati di arrivare nelle case europee senza alcun tipo di controllo. E su questo punto fa leva l’indagine pubblicata da Greenpeace, che ha analizzato i prodotti venduti su Shein. Contenevano anche piombo, cadmio, Pfas e ftalati ben oltre i limiti europei.
Indice
Le sostanze vietate rinvenute negli articoli di Shein
Greenpeace ha acquistato 56 articoli Shein in 8 diversi Paesi europei e non europei, scegliendo abbigliamento, scarpe e capi per bambini. Il risultato delle analisi condotte dai ricercatori dell’Istituto Ambientale di Brema non è stato incoraggiante.
Oltre un terzo dei prodotti (il 32%) superava i limiti previsti dal Reach, il regolamento europeo che tutela consumatori e ambiente dall’esposizione a sostanze pericolose. Tra i capi non conformi anche tre articoli per bambini.
Sono stati rilevati:
- Pfas in 7 prodotti, con valori fino a quasi 3.300 volte oltre il limite Ue;
- ftalati in 14 articoli, fino a 200 volte oltre le soglie;
- piombo e cadmio nelle scarpe;
- formaldeide in un costume per bambine oltre 3,5 volte i limiti;
- presenza diffusa di Voc, Apeo, metalli pesanti e ammine aromatiche.
Si tratta di sostanze tossiche, persistenti nell’ambiente e potenzialmente pericolose per lo sviluppo dei feti, la fertilità, il sistema endocrino e il sistema immunitario.
Il regolamento Reach e il nodo della concorrenza sleale
Reach impone alle aziende europee di testare e certificare la sicurezza chimica dei loro prodotti prima della vendita. Ma le piattaforme extra Ue sfruttano un vuoto normativo: quando un pacco viene spedito direttamente dal Paese d’origine al consumatore, il regolamento non scatta.
Questo significa che:
- i prodotti non vengono testati prima dell’arrivo;
- non passano da dogane che possano intercettarli;
- la responsabilità cade sul singolo acquirente e non sul venditore.
Come spiega Greenpeace, questo sistema
permette l’ingresso nell’Unione di articoli che sarebbero vietati se prodotti o venduti da un’azienda europea.
Il tema, dunque, non è solo ambientale o sanitario ma ha un impatto diretto sul mercato. Shein, che ha sede a Singapore, non è tenuta sostenere test e controlli e a implementare un sistema di tracciabilità dei materiali per ottenere le certificazioni imposte da Reach.
Per Bruxelles si tratta di una forma di concorrenza sleale, che penalizza l’industria europea della moda, che deve vendere i propri prodotti a prezzi più alti sia per rispettare i rigidi standard di materiali, sia per i costi legati all’approvazione da parte dell’Ue.
Shein non ha un modello sostenibile: l’accusa
Come riporta Greenpeace, Shein avrebbe comunque provato ad arginare il problema, rafforzando i controlli. Nel 2024, infatti, l’azienda ha condotto oltre 2 milioni di test e messo in lista nera 260 fornitori.
I prodotti rimossi dallo store, tuttavia, sarebbero venduti in versioni quasi identiche a quelle originali e problematiche, i livelli di sostanze pericolose sono in linea con analisi condotte tre anni fa e l’enorme volume di capi prodotti e venduti rende praticamente impossibili dei test sistematici.
Ad agosto è anche arrivata l’accusa di greenwashing da parte dell’Agcm.
L’associazione ambientalista sottolinea che il modello di Shein è
insostenibile per definizione.
L’82% dei materiali sarebbe composto da fibre sintetiche derivate dal petrolio (plastica), le emissioni dell’azienda sarebbero quadruplicate in tre anni e a ogni lavaggio i tessuti rilasciano microplastiche che finiscono poi nei fiumi, nel mare e nell’acqua che beviamo ogni giorno.
Senza contare poi l’annoso problema delle discariche africane, dove finisce la maggior parte dei vestiti ultra low-cost del fast fashion, per poi essere bruciato o disperso nell’ambiente.
Le soluzioni per limitare i prodotti contaminati o vietati
Greenpeace propone alcune soluzioni per provare a limitare i danni:
- una legge contro il fast fashion;
- una tassa ambientale su capi ultra-economici ad alto impatto inquinante;
- il divieto di pubblicità per le aziende che producono volumi eccessivi di prodotti;
- la responsabilità legale delle piattaforme per la vendita dei prodotti non conformi;
- la possibilità di sospendere i marketplace recidivi.
E sembra muoversi in questa direzione anche il Parlamento Ue, con la nuova proposta alla Commissione per il giro di vite che potrebbe costringere Shein e i siti “fratelli” AliExpress, Temu e Wish a cambiare radicalmente il proprio modello produttivo e distributivo.
Lo scandalo con bambole pedopornografiche e armi
La spinta politica arrivata dal Parlamento europeo nasce dallo scandalo esploso in Francia a inizio novembre.
La Direzione generale della concorrenza, del consumo e della repressione delle frodi, l’autorità francese per la sicurezza dei prodotti, ha scoperto che su diverse piattaforme extra Ue, tra cui Shein, venivano vendute bambole sessuali con fattezze infantili – oggetti che il governo ha classificato come materiale pedopornografico.
Alle segnalazioni iniziali si sono aggiunti armi, taser, coltelli vietati e dispositivi di autodifesa non conformi, tutti acquistabili senza alcun controllo sull’identità dell’acquirente né rispetto delle norme europee sulla sicurezza.
Nel corso dell’inchiesta, le autorità francesi hanno rilevato anche prodotti pericolosi sotto il profilo chimico, tra cui giocattoli e articoli per la persona con ftalati oltre i limiti, vernici contenenti piombo, cosmetici con ingredienti non dichiarati e apparecchi elettronici non conformi alle certificazioni obbligatorie.
Secondo la Direzione generale, oltre il 60% degli articoli analizzati sulle piattaforme non europee risulta non conforme o pericoloso.
La stretta su Shein in Francia
Lo scandalo ha provocato una reazione politica immediata.
Il 3 novembre 2025 è stata avviata l’indagine formale contro Shein, mentre il 5 novembre 2025 il governo ha annunciato la procedura per sospendere temporaneamente l’accesso al marketplace sul territorio francese, proprio per evitare la vendita di prodotti illegali, tossici o potenzialmente dannosi.
L’indagine di Greenpeace su Shein, pubblicata a distanza di poche settimane, conferma che il problema non riguarda solo prodotti pericolosi che non dovrebbero essere venduti con così tanta facilità, ma anche capi d’abbigliamento e oggetti di uso quotidiano che arrivano nelle nostre case senza alcun controllo.
Shein: comunicato ufficiale
Riceviamo e pubblichiamo la risposta pubblica diramata da Shein in un comunicato, che recita quanto segue:
SHEIN attribuisce la massima importanza alla sicurezza dei prodotti e si impegna a offrire articoli sicuri e affidabili per i propri clienti. Non ci sono stati forniti in anticipo i risultati delle analisi condotte da Greenpeace e, di conseguenza, non abbiamo ancora potuto verificarne i rilievi. In via precauzionale, abbiamo attivato i nostri protocolli standard di sicurezza e stiamo rimuovendo i prodotti segnalati dal Marketplace a livello globale, in attesa di ulteriori verifiche.
Tutti i venditori presenti sulla nostra piattaforma sono tenuti a rispettare il codice di condotta SHEIN, i nostri standard di sicurezza e le normative applicabili. SHEIN collabora con agenzie internazionali di test e certificazione, tra cui Bureau Veritas, Intertek, QIMA, SGS e TÜV SÜD, per garantire che prodotti non conformi non vengano commercializzati sulle nostre piattaforme. In caso di irregolarità, interveniamo tempestivamente, anche attraverso la rimozione dei prodotti o l’esclusione dei venditori.
A ulteriore conferma di questo impegno, abbiamo recentemente istituito una Taskforce per l’Integrità del Marketplace, un organismo interfunzionale che coinvolge Compliance, Legale, Operations e Public Affairs, con l’obiettivo di garantire trasparenza, responsabilità e i più elevati standard di governance. Esamineremo attentamente tutte le informazioni che ci verranno trasmesse e adotteremo tutte le misure necessarie per tutelare i nostri clienti.
Nella parte conclusiva c’è poi spazio per una nota polemica, che merita attenzione. Si sottolinea infatti come “alcuni prodotti segnalati da Greenpeace risultino ancora disponibili su altre importanti piattaforme di e-commerce”. L’azienda si interroga, dunque, sui motivi che abbiano spinto a una comunicazione pubblica unicamente indirizzata a Shein, “prima di essere condivise con noi o affrontate in modo coerente a livello di settore”.