Il Mediterraneo sta male, turismo e pesca perdono miliardi ogni anno

Ondate di calore marine, acidificazione e innalzamento dei mari minacciano turismo, pesca e coste. L’Italia tra i Paesi in Ue più esposti

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Il Mediterraneo non è solo la culla della nostra civiltà, ma è anche il cuore pulsante dell’economia europea. Oggi però è uno degli ecosistemi più fragili del pianeta. Gli studi scientifici ci mostrano come il Mare Nostrum si stia riscaldando quasi il doppio più velocemente rispetto alla media globale, con conseguenze dirette sulla biodiversità, sul turismo e sulla pesca. A pagare il prezzo della crisi climatica non sono solo gli ecosistemi, ma anche le economie costiere e le comunità che da secoli vivono vicino al mare.

La fotografia scattata dall’Ocean State Report 9 rivela come l’impatto economico delle ondate di calore marine, dell’acidificazione e dell’innalzamento dei mari sia già oggi molto alto. L’Italia, con le sue coste, i porti e la dipendenza dal turismo marittimo, è tra i Paesi più esposti e colpiti.

La salute del Mediterraneo: un mare in sofferenza

Dal 2023 il Mediterraneo ha vissuto una lunga ondata di calore marina. Si tratta della peggiore degli ultimi quarant’anni. La temperatura superficiale sta crescendo a un ritmo compreso tra 0,035 e 0,041 °C all’anno, quasi il doppio della temperatura superficiale media globale, che è di 0,015 °C.

Alla temperatura si aggiunge l’acidificazione. I mari infatti assorbono CO2, ma diventano più acidi e perdono la capacità di difendere coralli, alghe e praterie di posidonia, fondamentali per l’equilibrio degli ecosistemi.

Gli effetti però non restano soltanto sotto l’acqua. Queste ondate di calore, sempre più frequenti e più lunghe, riducono l’attrattività turistica delle coste, le spiagge subiscono fenomeni di erosione e regressione maggiori, con un impatto diretto sul comparto balneare e immobiliare. La biodiversità è in declino, con conseguenti effetti anche sulla pesca.

Biodiversità in declino e sicurezza alimentare

Va fatto un focus specifico sulla biodiversità, e questo perché l’Italia dipende molto dal mare. Lo fa per il turismo, ma anche per l’apporto alimentare che garantisce.

Negli ultimi anni abbiamo visto sempre più spesso l’espansione di specie “aliene” come il granchio blu e il verme di fuoco. Questi hanno causato ingenti perdite all’economia che deriva dalla pesca nei mari. La biodiversità autoctona infatti sta arretrando ed è evidente l’impatto diretto sulla sicurezza alimentare, oltre che sul lavoro che dipende da essa.

Infatti, la pesca su piccola scala rappresenta l’88% dei posti di lavoro del settore a livello globale, vale 51,8 miliardi di dollari l’anno e fornisce il 40% del pescato mondiale. Nel Mediterraneo i valori non sono molto diversi e il calo degli stock ittici, in aggiunta alle nuove condizioni climatiche, rende sempre più fragile questo segmento di economia. Colpisce soprattutto le comunità costiere, che dipendono dal mare per reddito diretto e per il sostentamento delle attività correlate, come il turismo e la ristorazione.

Innalzamento dei mari e infrastrutture a rischio

C’è poi il problema dell’innalzamento dei mari. Il Mediterraneo non sfugge al fenomeno globale, che anzi da noi procede a un ritmo più rapido della media. L’allarme del report è evidente: a rischio non ci sono solo le spiagge, ma anche siti UNESCO, porti e infrastrutture costiere.

Secondo il report, oltre 200 milioni di persone in Europa vivono in aree costiere esposte a inondazioni ed erosione. Le conseguenze economiche includono costi crescenti per riparazione, protezione e restauro delle infrastrutture, che pesano sui bilanci pubblici e privati. L’Italia non fa eccezione, con molte città costiere densamente popolate che, data la conformazione geografica, devono affrontare già da adesso una sfida molto complessa come quella delle infrastrutture.