Città spugna per fermare le alluvioni, il modello cinese in Italia

Il modello delle città spugna è sempre più di riferimento nel mondo per un'urbanistica che limiti gli effetti della crisi climatica come le alluvioni

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Claudio Carollo

Giornalista politico-economico

Classe ’88, è giornalista professionista dal 2017. Scrive di attualità economico-politica, cronaca e sport.

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Le alluvioni che si registrano sempre più ricorrenti e in modo sistematico ogni autunno, richiamano l’attenzione sull’urgenza di trasformare gli agglomerati urbani in “città spugna“. Con la fine dell’estate diverse zone d’Italia sono state investire da violente ondate di maltempo che hanno provocato frequenti esondazioni dei corsi d’acqua, allagamenti e danni anche per le forti raffiche di vento.

Fenomeni atmosferici sempre più impetuosi dovuti agli effetti della crisi climatica, ma aggravati dall’incapacità degli ambienti metropolitani di “assorbire” le precipitazioni: una combinazione pericolosa che pone gli amministratori di fronte alla necessità di trovare rimedi.

Le città spugna

Il tema del rapporto sbilanciato tra paesaggi di cemento e presenza di verde in città è da tempo al centro delle politiche di intervento contro le alluvioni in tante metropoli europee.

Londra e Berlino sono preparate per natura e conformazione urbanistica a sopportare eventi atmosferici violenti, ma altre realtà come Copenaghen hanno investito negli ultimi anni per cambiare il proprio assetto e in questo modo poter fronteggiare meglio la crisi climatica.

La capitale danese ha iniziato a riformare il suo scenario urbano in risposta all’emergenza scattata nel luglio 2011, quando un disastro meteorologico portò a danni per oltre 2 miliardi di euro, ampliando gli spazi verdi e trasformandosi in una “città spugna”.

La definizione, letteralmente dall’inglese “Sponge City”, identifica il modello creato dall’architetto paesaggista cinese Kongjian Yu e preso come riferimento in patria per diverse metropoli già dal 2014.

Anche dietro l’ispirazione di Yu c’è un evento catastrofico: l’alluvione del 2012 di Pechino, la peggiore nella storia della capitale, che causò 80 morti e la distruzione di più 8mila abitazione.

L’architetto, fondatore dello studio Turenscape, ha sviluppato la sua idea di struttura urbanistica guardando alle sue origini nelle campagne cinesi: Yu ha analizzato il ruolo della vegetazione nel contenimento dell’esondazioni stagionali dei corsi d’acqua, confrontandoli con le conseguenze dell’impermeabilità di cemento e asfalto di fronte ai nubifragi.

La sua visione si basa sul concetto che le città debbano essere includere infrastrutture naturali e non possano affidarsi esclusivamente a tubature e pompe per fare defluire l’acqua. Secondo questo modello, gli ambienti urbani devono essere integrati con i sistemi di drenaggio forniti dall’ambiente, in modo da far convogliare gradualmente le piogge nei fiumi e ridurre i rischi di esondazioni.

Per i suoi studi sull’adattamento delle politiche urbanistiche alla crisi climatica, Yu ha vinto l’ultima edizione del premio Oberlander, dedicato alla famosa paesaggista canadese Cornelia Hahn Oberlander, uno dei maggiori riconoscimenti nel campo.

Il modello in Italia

L’adattamento degli agglomerati urbani in “città spugna” in Italia è ancora lento, ma diversi comuni della città metropolitana di Milano stanno iniziando ad adottare questo modello.

Sono 30 i lavori realizzati e 19 cantieri aperti su un totale di 90 interventi per la prevenzione di alluvioni e fronteggiare le costanti esondazioni di Seveso e del Lambro.

In totale sono stati programmati 90 interventi in 32 comuni, realizzati in collaborazione con il gruppo Cap e finanziati con oltre 50 milioni di euro, con orizzonte di fine lavori marzo 2026.