Cop30 a rischio flop: +120% di carbone, gas e petrolio

Il Production Gap Report 2025 mostra come i governi mondiali puntino ancora su carbone, petrolio e gas, mentre l’Ue arriva divisa alla Cop30

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Non è solo l’Europa ad apparire divisa sul tema climatico, ma tutte le più grandi potenze economiche stanno pianificando livelli di produzione di carbone, gas e petrolio maggiori rispetto ai target climatici, rendendo impossibile impedire il superamento della soglia critica di temperatura di 1,5 °C a livello globale. La maggior parte dei Paesi presi in esame dal Production Gap Report 2025 mostra come questi Stati continuino a pianificare la produzione di combustibili fossili a livelli incompatibili con le proprie ambizioni climatiche per il raggiungimento delle emissioni nette a zero.

Si continuano a rimandare gli obiettivi climatici per raggiungere lo zero emissioni di gas serra nella seconda metà del secolo, come richiesto dall’Accordo di Parigi. Questo significa che l’obiettivo non sarà raggiunto o che ai futuri governi sarà richiesto un cambiamento ancora più drastico e difficile da gestire.

Produzione di carbone, petrolio e gas oltre i livelli

Quello che emerge dal Production Gap Report 2025, pubblicato da Stockholm Environment Institute, Climate Analytics e International Institute for Sustainable Development, è che stiamo andando nella direzione sbagliata. Rispetto all’Accordo di Parigi, che compie ormai 10 anni, i governi mondiali continuano a programmare i livelli di produzione di carbone, petrolio e gas oltre i limiti compatibili con gli obiettivi climatici.

Analizzando una ventina di Paesi, dall’Australia agli Stati Uniti, la maggior parte dei dati è negativa. Secondo il rapporto, i piani nazionali di produzione di combustibili fossili supereranno del 120% gli scenari in linea con gli obiettivi di contenere l’aumento della temperatura media entro il +1,5 °C.

Tra i 20 grandi produttori responsabili dell’80% dell’output globale di fonti fossili, ben 17 prevedono di aumentare la produzione di almeno una delle tre fonti da qui al 2030. I peggiori sono Stati Uniti e Russia.

Per quantificare l’aumento della produzione di combustibili fossili, basta guardare alle proiezioni governative al 2030:

  • +500% per il carbone;
  • +31% per il petrolio;
  • +92% per il gas.

A preoccupare è soprattutto l’azione degli Stati Uniti sulla Banca Mondiale, alla quale esercita ormai pressioni evidenti per rifinanziare progetti fossili, in particolare sul gas. Per esempio Washington ha sostenuto la necessità di riaprire il credito a nuove esplorazioni e infrastrutture legate al gas naturale.

Una simile posizione rappresenterebbe una vera e propria inversione di rotta rispetto agli impegni dell’Accordo di Parigi e non solo. La Banca Mondiale oggi riserva finanziamenti a progetti di questo tipo solo ai Paesi più poveri, che hanno necessità di sviluppare le proprie industrie.

L’Europa divisa verso la Cop30

La Cop30 potrebbe essere l’ennesimo fallimento nella gestione della crisi climatica. L’occasione per tale analisi arriva in seguito al vertice sull’ambiente di Bruxelles, momento nel quale i ministri europei hanno confermato che l’Europa non riuscirà a rispettare la scadenza per la definizione di nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni e, soprattutto, non presenterà target più ambiziosi.

I motivi sono quelli già noti delle divisioni interne su alcune tematiche. Ci sono Paesi disallineati rispetto alle strategie da adottare o addirittura sulla necessità stessa di adottarle. Secondo Ungheria e Slovacchia, per esempio, “non è il momento geopolitico ideale”.

Così, mentre Donald Trump disattende tutti gli impegni climatici, ritirandosi da questi, anche in Germania, Francia e Polonia si chiede prudenza rispetto ai target discussi. L’Europa si consola dicendosi comunque, nel quadro complessivo, tra i più ambiziosi a livello globale. Non è però un dato di cui andare fieri, considerando la concorrenza.

Gli obiettivi italiani sul clima

Anche l’Italia è tra i Paesi che frenano sugli obiettivi climatici. Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, ha parlato di “pragmatismo”. Durante il proprio intervento ha detto:

La grave crisi internazionale che stiamo vivendo ci impone realismo e concretezza: dobbiamo rispondere ai cittadini con azioni comuni che non mettano in discussione gli impegni assunti negli ultimi anni, ma che guardino al futuro con una programmazione economica seria.

Si continua così a parlare di costo della transizione, che è parte del tema certo, ma non di quanto sia necessario affrontare il passaggio per non incorrere in ulteriori costi che al momento sembrano secondari, ma non lo sono. Sappiamo qual è il costo della crisi climatica, sia in termini ambientali, che umani, artistici, paesaggistici e anche economici. Si pensa oggi alla produzione industriale, ma cosa si risponderà a un’intera regione, come la Sicilia, quando la desertificazione avrà impedito per sempre la produzione futura di frutta e verdura o all’acqua potabile di raggiungere le abitazioni?

Questo non sembra essere un tema e la conferma arriva anche dal ministro danese del Clima Lars Aagaard, che dichiara:

Mentre si lavora per raggiungere obiettivi climatici ambiziosi, bisogna anche preoccuparsi della base industriale.

Si attende così il documento unico con il quale l’Unione Europea si presenterà alla Cop30 di novembre, ma secondo la bozza che sta già circolando, l’Unione proverà a fissare un target di riduzione delle emissioni entro il 2035. Se ci riuscirà o meno sembra essere un problema da rimandare a un domani lontano.