Acque reflue urbane, Italia deferita ancora alla Corte UE

La Commissione europea deferisce nuovamente l’Italia alla Corte di Giustizia dell’UE a causa dell’inadeguato trattamento delle acque reflue urbane

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Donatella Maisto

Esperta in digital trasformation e tecnologie emergenti

Dopo 20 anni nel legal e hr, si occupa di informazione, ricerca e sviluppo. Esperta in digital transformation, tecnologie emergenti e standard internazionali per la sostenibilità, segue l’Innovation Hub della Camera di Commercio italiana per la Svizzera. MIT Alumni.

Garantire che le acque reflue urbane siano adeguatamente trattate per proteggere l’ambiente e la salute umana trova il suo riconoscimento giuridico nella Direttiva 91/271/CEE del Consiglio del 21 maggio 1991.

Lo scopo della direttiva è quello di proteggere l’ambiente dell’Unione europea dalle conseguenze negative, come l’eutrofizzazione (ndr. arricchimento delle acque con nutrienti che provocano, fra l’altro, una crescita accelerata delle alghe, generando una perturbazione dell’equilibrio degli organismi presenti nell’acqua e della qualità delle acque stesse) delle acque reflue urbane e di stabilire norme a livello comunitario per la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue.

La normativa riguarda, inoltre, le acque reflue prodotte anche dalle industrie agro-alimentari, come l’industria alimentare e quella della birra.

L’Italia non ha dato piena esecuzione a una sentenza della Corte del 10 aprile 2014 relativa al trattamento delle acque reflue urbane ed è stata nuovamente deferita alla Corte di Giustizia dell’UE.

La direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane

La Direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane impone agli Stati membri di garantire che gli agglomerati, ovvero città, centri urbani, insediamenti, raccolgano e trattino correttamente le acque reflue.

Le acque reflue non trattate possono essere contaminate da batteri nocivi e rappresentano, pertanto, un rischio per la salute pubblica. Contengono tra l’altro nutrienti, come l’azoto e il fosforo, che possono danneggiare le acque dolci e l’ambiente marino favorendo la proliferazione eccessiva di alghe che soffocano altre forme di vita.

Gli obblighi dei paesi Ue

 Sulla base della Direttiva  91/271/CEE  i paesi dell’UE devono:

  • raccogliere e trattare le acque reflue in insediamenti urbani con una popolazione di almeno 2.000 abitanti ed effettuare un trattamento secondario sulle acque reflue raccolte. Il trattamento secondario è un processo che, in genere, comporta il trattamento biologico, in modo tale che vengano rispettati i requisiti contenuti nell’allegato I della direttiva;
  • effettuare un trattamento più avanzato in insediamenti urbani con popolazione superiore ai 10.000 abitanti situati in specifiche aree sensibili. Laddove quest’ultime sono le acque naturali a rischio di eutrofizzazione o che potrebbero diventarlo in un futuro prossimo se non vengono intraprese azioni protettive, oppure acque che necessitano di un ulteriore trattamento per conformarsi alle altre direttive dell’UE, come la direttiva sulle acque di balneazione;
  • verificare che gli impianti di trattamento siano adeguatamente mantenuti in modo da garantire prestazioni sufficienti e che possano operare in tutte le normali condizioni climatiche;
  • adottare misure per limitare l’inquinamento delle acque recipienti provenienti da tracimazioni di acque meteoriche in situazioni estreme, come in caso di piogge insolitamente abbondanti;
  • monitorare le prestazioni degli impianti di trattamento e delle acque recipienti;
  • monitorare lo smaltimento e il riutilizzo dei fanghi di depurazione.

Oltre a delineare i metodi per il monitoraggio e la valutazione dei risultati, l’allegato I indica i requisiti generali per:

  • i sistemi di raccolta
  • gli scarichi provenienti dagli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, compresi i loro valori limite di emissione
  • le acque reflue industriali scaricate in sistemi di raccolta urbani.

L’allegato II descrive i criteri per l’individuazione delle aree sensibili e meno sensibili.

L’ultima relazione disponibile della Commissione europea sullo stato e i programmi di attuazione, pubblicata nel 2016, rileva che la direttiva svolge un ruolo fondamentale nel miglioramento della qualità delle acque dell’UE.

Le lacune della direttiva

Tuttavia, vi sono ancora alcune lacune nell’attuazione, soprattutto, per quanto riguarda il livello di trattamento adeguato.

Gli investimenti effettuati e programmati dai paesi dell’UE sono notevoli, ma non ancora sufficienti per contribuire alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro nel settore.

Gli obiettivi

Il 26 ottobre 2022 la Commissione ha rivisto la direttiva in linea con i risultati di una valutazione e sulla base di un’ampia valutazione d’impatto, adattandola alle norme più recenti. La revisione mira a:

  • ridurre l’inquinamento, l’uso di energia e le emissioni di gas a effetto serra
  • migliorare la qualità dell’acqua affrontando l’inquinamento residuo delle acque reflue urbane
  • migliorare l’accesso ai servizi igienico-sanitari, in particolare per i più vulnerabili ed emarginati
  • far pagare l’industria per trattare i microinquinanti
  • chiedere ai paesi dell’UE di monitorare gli agenti patogeni nelle acque reflue
  • portare a un settore più circolare

Entro il 2040 sarà necessario:

  • risparmiare quasi 3 miliardi di euro all’anno in tutta l’UE
  • ridurre le emissioni di gas serra di oltre il 60 % rispetto al 1990
  • riduzione dell’inquinamento idrico di oltre 365 mila tonnellate
  • ridurre le emissioni di microplastiche del 9 %.

Obblighi di comunicazione

Per monitorare i progressi compiuti nell’attuazione, la Commissione impone ai paesi di rispettare determinati obblighi di comunicazione. In particolare:

  • Gli Stati membri devono garantire che le relazioni sulla situazione sullo smaltimento delle acque reflue urbane e dei fanghi siano pubblicate dalle autorità o dagli organismi competenti ogni due anni. La direttiva prevede che la Commissione riceva anche una copia della relazione.
  • Gli Stati membri devono fornire alla Commissione informazioni sullo stato e sul programma di attuazione della direttiva. La decisione 93/481/CEE della Commissione fornisce le informazioni che la relazione deve contenere e il formato in cui deve essere fornita. La prima relazione dovrebbe essere aggiornata ogni due anni.
  • Gli Stati membri devono raccogliere dati di monitoraggio e metterli a disposizione della Commissione entro sei mesi dal ricevimento della richiesta.

Utilizzo dei fanghi di depurazione in agricoltura

La Direttiva 86/278/CEE concernente la protezione dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura disciplina l’utilizzazione dei fanghi di depurazione come concime in modo da evitare effetti nocivi sull’ambiente e sulla salute umana, tenendo conto del fabbisogno di sostanze nutritive delle piante, senza compromettere la qualità del suolo e delle acque superficiali o sotterranee, stabilendo a tale riguardo i valori limite per le concentrazioni consentite nel terreno per 7 metalli pesanti, che possono essere tossici per le piante e per l’uomo, ovvero:

  • cadmio
  • rame
  • nichel
  • piombo
  • zinco
  • mercurio
  • cromo

Nel 2018, la direttiva è stata modificata dalla decisione (UE) 2018/853 relativamente alle norme procedurali per l’elaborazione delle relazioni in materia ambientale. Mentre nel 2019, la direttiva è stata modificata dal regolamento (UE) 2019/1010, che armonizza gli obblighi di comunicazione nella normativa in materia di ambiente.

Il nuovo deferimento

La Commissione ha deciso di deferire nuovamente l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE in quanto il paese non ha dato piena esecuzione alla sentenza della Corte del 10 aprile 2014, relativa, appunto, al trattamento delle acque reflue urbane.

La Corte aveva, allora, stabilito che l’Italia era venuta meno agli obblighi incombenti in forza della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, in quanto 41 agglomerati non avevano garantito la raccolta e il trattamento adeguati delle acque reflue urbane.

I 41 agglomerati

Con il suo ricorso, la Commissione europea chiedeva alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana fosse venuta meno agli obblighi incombenti in forza dell’articolo 3, dell’articolo 4 e dell’articolo 5, nonché dell’articolo 10 della Direttiva 91/271, avendo omesso di attuare le disposizioni necessarie per garantire che:

  • gli agglomerati di Bareggio, Cassano d’Adda, Melegnano, Mortara, Olona Nord, Olona Sud, Robecco sul Naviglio, San Giuliano Milanese Est, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Trezzano sul Naviglio, Turbigo e Vigevano (Lombardia), aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000 e scaricanti acque reflue urbane in acque recipienti considerate “aree sensibili” siano provvisti di reti fognarie per le acque reflue urbane, conformemente all’articolo 3 della direttiva;
  • negli agglomerati di Pescasseroli (Abruzzo), Aviano Capoluogo, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile (Friuli-Venezia Giulia), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d’Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Nuoro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Terrasini (Sicilia), Courmayeur (Valle d’Aosta) e Thiene (Veneto), aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000, le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento secondario o ad un trattamento equivalente, conformemente all’articolo 4 della direttiva;
  • negli agglomerati di Pescasseroli (Abruzzi), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli-Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Francavilla Fontana, Monteiasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna) e Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini e Trappeto (Sicilia), aventi un numero di abitanti equivalenti superiore a 10 000 e scaricanti in acque recipienti, considerate “aree sensibili”, le acque reflue urbane, che confluiscono in reti fognarie, siano sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente, conformemente all’articolo 5 della Direttiva;
  • la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane, realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dagli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271, siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e che la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico negli agglomerati di Pescasseroli (Abruzzi), Aviano Capoluogo, Cividale del Friuli, Codroipo/Sedegliano/Flaibano, Cormons, Gradisca d’Isonzo, Grado, Latisana Capoluogo, Pordenone/Porcia/Roveredo/Cordenons, Sacile, San Vito al Tagliamento, Udine (Friuli-Venezia Giulia), Frosinone (Lazio), Bareggio, Broni, Calco, Cassano d’Adda, Casteggio, Melegnano, Mortara, Orzinuovi, Rozzano, San Giuliano Milanese Ovest, Seveso Sud, Somma Lombardo, Trezzano sul Naviglio, Turbigo, Valle San Martino, Vigevano, Vimercate (Lombardia), Pesaro, Urbino (Marche), Alta Val Susa (Piemonte), Francavilla Fontana, Monteiasi, Trinitapoli (Puglia), Dorgali, Nuoro, ZIR Villacidro (Sardegna), Castellammare del Golfo I, Cinisi, Partinico, Terrasini, Trappeto (Sicilia), Courmayeur (Valle d’Aosta) e Thiene (Veneto),

I notevoli progressi non sono sufficienti

Nonostante i notevoli progressi compiuti, le acque reflue urbane non sono ancora adeguatamente trattate in cinque agglomerati: uno in Valle d’Aosta e quattro in Sicilia.
La mancanza di adeguati sistemi di trattamento per questi cinque agglomerati comporta rischi significativi per la salute umana, le acque interne e l’ambiente marino nelle aree critiche, sotto il profilo ecologico, in cui sono scaricate le acque reflue non trattate.

Nonostante la lettera di costituzione in mora ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, inviata dalla Commissione all’Italia il 17 maggio 2018, questi cinque agglomerati non risultano ancora conformi.

Sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane, la piena conformità alla sentenza del 10 aprile 2014 non sarà raggiunta prima del 2027. L’Italia, tuttavia, avrebbe dovuto garantire il rispetto della direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane sin dal 31 dicembre 1998.

Questo secondo deferimento alla Corte può comportare l’irrogazione di sanzioni pecuniarie all’Italia, tenuto conto della gravità e del protrarsi dell’infrazione.

La procedura di infrazione

La Commissione individua possibili violazioni del diritto dell’UE sulla base delle proprie indagini o di denunce da parte di cittadini, imprese e altre parti interessate.

Se il paese dell’UE interessato non ha comunicato le misure che recepiscono completamente le disposizioni delle direttive o non rettifica la presunta violazione del diritto dell’UE, la Commissione può avviare una procedura formale di infrazione.

La procedura si articola in 5 tappe stabilite nei trattati dell’UE, ciascuna delle quali si conclude con una decisione formale:

  1. la Commissione invia una lettera di costituzione in mora con cui richiede ulteriori informazioni al paese, che dovrà inviare una risposta dettagliata entro un termine preciso.
  2. Se la Commissione giunge alla conclusione che il paese è venuto meno ai propri obblighi a norma del diritto dell’UE, la Commissione può inviare un parere motivato, vale a dire una richiesta formale di conformarsi al diritto dell’Unione in cui spiega perché ritiene che il paese violi il diritto dell’UE. La Commissione chiede, inoltre, al paese interessato di comunicarle le misure adottate entro un termine preciso.
  3. Se il paese continua a non conformarsi alla legislazione, la Commissione può decidere di deferirlo alla Corte di giustizia. La maggior parte dei casi viene risolta prima di essere sottoposta alla Corte.
  4. Se un paese dell’UE non comunica le misure che attuano le disposizioni di una direttiva in tempo utile, la Commissione può chiedere alla Corte di imporre sanzioni.
  5. Se la Corte ritiene che il paese in questione abbia violato il diritto dell’Unione, le autorità nazionali devono adottare misure per conformarsi alle disposizioni della sentenza della Corte.

Se, nonostante la sentenza della Corte di giustizia, il paese continua a non rettificare la situazione, la Commissione può deferirlo dinanzi alla Corte.

Quando un paese viene deferito alla Corte di giustizia per la seconda volta, la Commissione propone che la Corte imponga sanzioni pecuniarie, che possono consistere in una somma forfettaria e/o in pagamenti giornalieri.

Le sanzioni sono calcolate tenendo conto di vari elementi:

  • l’importanza delle norme violate e gli effetti della violazione sugli interessi generali e particolari
  • il periodo in cui il diritto dell’Unione non è stato applicato
  • la capacità del paese di pagare, con l’intento di assicurare che le sanzioni abbiano un effetto deterrente.

L’importo proposto dalla Commissione può essere modificato dalla Corte nella sentenza.