Prelievi e versamenti nel mirino del Fisco: a cosa stare attenti

Cosa si deve fare quando partono delle indagini finanziarie? Come si deve muovere il contribuente per difendersi? Ecco una breve guida

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

In cosa consistono le indagini finanziarie? Ma soprattutto come funzionano? Nel caso in cui l’amministrazione tributaria dovesse far scattare un qualsiasi accertamento bancario, come si devono comportare i diretti interessati? Quali sono gli strumenti che servono a dimostrare la propria correttezza e come si fa a dimostrare di essere completamente trasparenti?

Inutile negarlo: a nessun contribuente piace essere al centro di un’indagine finanziaria, nemmeno quando si è sempre stati corretti con il fisco. A nessuno piace che qualcuno vada a controllare i propri conti correnti. Soprattutto perché, quando scatta questo tipo di controllo, vige sempre l’inversione dell’onere della prova. In altre parole spetta al contribuente dimostrare la propria innocenza.

Nel momento in cui con le indagini finanziarie vengono effettuati delle verifiche bancarie, in senso tecnico, non siamo davanti ad un accertamento vero e proprio. Quella messa in atto dall’amministrazione consiste in una particolare procedura che permette, a chi effettua le suddette verifiche, di reperire tutti i dati utili per poter predisporre l’avviso di rettifica. Entrando un po’ più nel dettaglio, l’articolo 32 del DPR n. 600/73 e l’articolo 51 del DPR n. 633/72 prevedono che:

  • gli uffici tributari hanno la possibilità di avvalersi di appositi controlli con riferimento alla generalità delle tipologie di rapporti ed operazioni finanziarie, che fanno capo ai singoli contribuenti, andando a formulare delle richieste agli intermediari finanziari;
  • gli intermediari finanziari sono obbligati a comunicare all’anagrafe tributaria, con cadenze periodiche, gli estremi che servono ad identificare ogni cliente. Deve essere comunicata la tipologia di rapporto che è intrattenuto con lo stesso ed il contenuto di ogni singolo rapporto.

Cerchiamo di comprendere come funzionano nello specifico le indagini finanziarie, che vengono effettuate nei confronti dei contribuenti. Ma soprattutto cerchiamo di scoprire quali siano gli strumenti in possesso degli stessi per potersi difendere.

L’anagrafe dei rapporti di lavoro

Una delle sezioni dell’anagrafe tributaria è costituita dall’anagrafe dei rapporti finanziari. Questa apposita sezione è stata istituita per rendere più efficienti le varie attività di controllo in ambito fiscale, nel momento in cui devono essere effettuate delle verifiche sulle imposte dei redditi e dell’Iva.

Grazie all’anagrafe dei rapporti finanziari, gli uffici dell’Agenzia delle Entrate hanno la possibilità di effettuare dei controlli nei confronti unicamente degli operatori presso i quali il soggetto, che è sottoposto ad un controllo, ha instaurato realmente dei rapporti di natura finanziaria. Nell’enorme database in possesso dell’amministrazione finanziaria sono riportati, per ogni singola posizione, il saldo iniziale e quello finale del rapporto. Il totale degli accrediti e la giacenza media presente sul conto corrente.

Gli uffici preposti ai controlli hanno iniziato ad utilizzare i dati che derivano dall’anagrafe dei rapporti finanziari, per preparare delle liste selettive dei contribuenti a maggior rischio di evasione, basandosi sulle indicazioni che risultano essere contenute all’interno dei provvedimenti n. 197357 del 31 agosto 2018 e n. 669173 dell’8 agosto 2019 emanati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate.

Le indagini finanziarie sui conti correnti

Le indagini finanziarie effettuate sui conti correnti permettono di rinvenire eventuali movimenti che non trovano riscontro nella contabilità dell’impresa o del professionista. A finire sotto la lente d’ingrandimento sono principalmente i prelevamenti e i versamenti non giustificati: queste operazioni danno la presunzione legale relativa secondo cui le somme versate o prelevate siano connesse a dei compensi o a dei ricavi non dichiarati.

È comunque necessario fare una distinzione di base: tra le comunicazioni connesse all’anagrafe dei conti e le indagini finanziarie c’è una netta differenza. Per quanto riguarda l’anagrafe dei conti, sostanzialmente, c’è un obbligo da parte degli intermediari finanziari di comunicare i dati relativi ai rapporti intrattenuti. In un certo senso è una sorta di spesometro o un elenco dei beni sociali concessi in uso a terzi. Queste informazioni possono essere utilizzate dall’Agenzia delle Entrate per formare delle liste selettive di clienti a rischio evasione.

Quando partono le indagini fiscali, invece, gli accertamenti bancari risultano essere molto più invasivi. Gli uffici preposti, dopo aver ottenuto un’autorizzazione da un giudice, possono richiedere dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata dal contribuente attraverso l’intermediario finanziario. Queste indagini, che possono essere effettuate unicamente a seguito di una vera e propria autorizzazione, non sono caratterizzate da accessi della Guardia di Finanza presso la sede del contribuente.

Una volta ottenuta l’autorizzazione, comunque, gli intermediari finanziari sono tenuti a fornire tutti i documenti che attestino le movimentazioni effettuate da quel determinato soggetto.

Le movimentazioni bancarie

A cosa devono stare attenti i contribuenti? I dati presenti nell’anagrafe dei conti correnti potrebbero presentare alcune anomalie che potrebbero essere un sinonimo di evasione. Nel momento in cui queste particolari anomalie sono presenti, è giustificato l’avvio di una vera e propria indagine finanziaria.

A finire sotto la lente d’ingrandimento degli uffici tributari sono i dati che derivano dalle movimentazioni bancarie. Il contribuente deve dimostrare di aver tenuto conto di queste operazioni nella determinazione del reddito soggetto ad imposta. O, in caso contrario, deve dimostrare che le suddette operazioni non hanno alcuna rilevanza nella determinazione del reddito. In estrema sintesi il contribuente deve essere in grado di dimostrare, ad esempio, che i versamenti trovino una adeguata giustificazione nella contabilità, nel caso in cui siano connessi a dei fatti fiscali fiscalmente rilevanti.

Attenzione, che possono risultare oggetto di verifica anche i conti correnti cointestati al contribuente sottoposto ad accertamento. Potrebbe essere necessario, quindi, produrre la documentazione relativa anche ad eventuali entrate su questi conti correnti.

I prelievi in banca

È necessario, inoltre, fare alcuni chiarimenti in relazione ai prelievi dal conto corrente. Nel caso in cui questi siano effettuati da un professionista, la presunzione di evasione fiscale non viene applicata. La Corte Costituzionale, attraverso la sentenza n. 228/2014, ha sottolineato che la presunzione sui prelevamenti si applica unicamente ai titolari di reddito di impresa.

Benché la figura del lavoratore autonomo e quella dell’imprenditore, nel diritto italiano e in quello comunitario, siano per molti versi affini, esistono, comunque vada, delle differenze. Il lavoratore autonomo svolge un’attività caratterizzata principalmente dall’apporto del proprio lavoro e di una marginalità dell’apparato organizzativo. Nel caso in cui ci sia una contabilità semplificata, per forza di cose, c’è una certa promiscuità tra le entrate e le spese professionali e personali. Per quanto riguarda l’imprenditore, invece, il lavoro risulta essere più strutturato e vi è una netta divisione tra le spese personali e quelle dell’azienda.

Le indagini nei confronti di un lavoratore autonomo o di un professionista, secondo la giurisprudenza, partono, nei seguenti casi:

  • il conto corrente ha saldo negativo;
  • le entrate e le uscite sono in pareggio.