Tassa sui pacchi sotto i 150 euro, stretta del Governo sullo shopping online: chi pagherà

Contributo da due euro sulle spedizioni extra-UE: l’obiettivo è rafforzare i controlli e tutelare il Made in Italy dalla fast fashion

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Con la Manovra 2026 arriva anche una tassa di 2 euro su tutti i pacchi con un prezzo sotto i 150 euro. Si tratta di un vero e proprio tentativo di racimolare quante più risorse possibili per finanziare altri interventi della manovra. La maggior parte dei pacchi in circolazione in Europa è sotto i 150 euro e anche in Italia la maggior parte delle spese rientra in questa cifra. L’intenzione di introdurre una tassa sui pacchi, come indicato direttamente dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, viene descritta come una tutela per gli esercenti che operano nella moda.

Un tentativo quindi di tutelare il Made in Italy dall’ultra fast fashion, che però potrebbe non riguardare solo i pacchi che arrivano dall’esterno dell’Unione Europea.

Una nuova tassa sui pacchi: due euro a spedizione

La Manovra della prudenza è anche la Manovra per la quale ogni nuovo beneficio prevede una nuova ricerca di risorse. Così, cedere su alcuni temi, come la cedolare secca sugli affitti brevi, che resta al 21%, o la cancellazione dell’aumento dell’Irap del 2% per le holding, comporta la necessità di reperire risorse altrove. Da una parte la Tobin tax, cioè l’imposta sulle transazioni finanziarie che passa dallo 0,2% allo 0,4%, o la polizza accessoria Rc Auto che copre l’infortunio e l’assistenza del conducente, con un’aliquota che sale dal 2,5% al 12,5%.

Ma viene anche proposta l’introduzione di una nuova tassa sui piccoli pacchi. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, con un messaggio inviato all’assemblea di Confesercenti, ha spiegato di prevedere un contributo di 2 euro per i pacchi con prezzo sotto i 150 euro provenienti da Paesi extra-UE. Lo scopo dichiarato è potenziare i controlli doganali.

Farebbe parte di un pacchetto di misure specifiche a tutela degli esercenti che operano nella moda, oggi minacciati dall’ultra fast fashion. In questo modo si contrasterebbe l’arrivo di prodotti di scarsa qualità che danneggiano consumatori, imprese e ambiente.

Dazio o tassa?

La proposta vedrebbe però l’emergere di diversi ostacoli. Secondo Il Sole 24 Ore, infatti, il contributo di 2 euro per le spedizioni sotto i 150 euro non potrebbe riguardare esclusivamente i pacchi provenienti da fuori dall’Unione Europea. In quel caso si tratterebbe di un dazio e le politiche doganali sono di esclusiva competenza di Bruxelles. L’Italia non può quindi introdurre un dazio.

Può invece introdurre una tassa, ma questa riguarderebbe tutti i pacchi che partono e arrivano in Italia e avrebbe quindi un impatto anche sul commercio interno all’Unione Europea e sul mercato nazionale.

La posizione di Confesercenti

Da parte sua Confesercenti non è nuova a una simile proposta. Il tema della tassa sulle micro spedizioni, infatti, viene riproposto da tempo perché esiste un evidente squilibrio competitivo tra le grandi piattaforme di e-commerce internazionali e le micro imprese che si sostengono da sole in Italia, spiegano.

I pacchi consegnati quest’anno superano il miliardo, con una media di 18 colli per residente. Anche se l’online non è un avversario da demonizzare, proseguono, l’associazione dei commercianti ritiene necessario pensare a una strategia per proteggere le piccole e medie imprese. Un tentativo è quello di equiparare le vendite online a quelle nei punti vendita fisici, per esempio proponendo una tassa per i pacchi sotto i 150 euro che abbia lo scopo di spingere il consumo locale.

È chiaro però che in questo modo a pagare saranno i consumatori e non gli e-commerce che guadagnano miliardi con i sistemi di vendita. Confcommercio racconta come le piccole attività versino verso l’erario circa 7 miliardi e 700 milioni di euro, di cui 4 miliardi e 400 milioni in tributi locali, mentre la Web tax ha prodotto nel 2024 appena 455 milioni di euro.

Il ridotto importo di questa tassa è dovuto alla paura che gli e-commerce spostino le loro infrastrutture dove è più conveniente, di fatto tenendo sotto scacco governi e realtà locali. Come riportare quindi al centro le imprese presenti sul territorio, come rimettere in contatto chi produce, chi distribuisce e chi eroga servizi nelle città, nei quartieri e nei borghi con i consumatori e i clienti? Forse una tassa non è la soluzione.