La pressione fiscale nel nostro Paese continua a salire e anche con la prossima Manovra non dà cenni di diminuzione. Dall’entrata in carica del Governo Meloni il peso delle tasse sugli italiani ha fatto segnare i massimi degli ultimi 10 anni, raggiungendo i livelli toccati sotto l’Esecutivo dei tecnici guidato da Mario Monti, quando la parola d’ordine era “austerità“.
Nonostante le promesse al centro della campagna elettorale del centrodestra, la terza Legge di Bilancio dell’attuale legislatura non contribuirà a tagliare le tasse.
L’aumento della pressione fiscale
Anche se l’alta pressione fiscale è una caratteristica storica del sistema del welfare italiano, tra i più dispendiosi in Europa, dal 2023 il peso dell’Erario è cresciuto in modo significativo.
Dall’inizio del mandato di Giorgia Meloni, ottobre 2022, la pressione fiscale è aumentata di 1,3 punti percentuali del Pil, mentre le entrate totali di 1 punto.
La pressione fiscale rappresenta il totale delle imposte dirette, indirette, in conto capitale e dei contributi sociali. Aggiungendo a questa somma le “altre entrate” e le “entrate in conto capitale non tributarie”, comprese tra le voci residuali, si ricavano le entrate totali dello Stato.
Secondo gli ultimi dati aggiornati al secondo trimestre del 2025, le entrate totali e la pressione fiscale sono rispettivamente al 47,6% e al 42,8% del Pil. Quest’ultimo dato non risulta essere troppo lontano dai livelli raggiunti nel governo Monti.
L’Esecutivo in carica prevede che la percentuale rimanga stabile fino alla fine dell’anno e anche nel 2026. L’Osservatorio sui Conti Pubblici italiani stima nel 2027 un aumento della pressione fiscale al 42,9% nel 2027, per poi scendere al 42,7% nel 2028.
Sia per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sia per il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, la causa dell’aumento sarebbe dovuto all’incremento del numero di lavoratori e dunque di contribuenti. Una versione smentita da diversi economisti.
Il fiscal drag
Il cortocircuito è scatenato dalla mancata corrispondenza tra il livello dei redditi e aumenti la progressività del sistema fiscale progressivo. È l’effetto “fiscal drag”, drenaggio fiscale, che si presenta nei periodi di crescita dell’inflazione, come si è verificato negli ultimi anni.
E non sembrano sortire gli effetti voluti le due principali misure di alleggerimento fiscale su cui ha puntato il Governo:
- l’adozione in via strutturale del taglio del cuneo fiscale introdotto da Mario Draghi;
- la riforma degli scaglioni Irpef, con la riduzione delle aliquote per il calcolo delle imposte sul reddito delle persone fisiche.
Da quanto emerso dai calcoli dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, i due provvedimenti hanno anche aggravato il fenomeno del drenaggio fiscale, per circa 300 milioni di euro ogni anno: secondo quanto stimato dal portale di lavoce.info, nelle casse dello Stato sarebbero entrati 17 miliardi in più di prelievo soltanto nel 2024.