Impresa familiare, i requisiti per avviarla e le imposte da versare

La costituzione di un'impresa familiare prevede che, all'interno dell'attività, vi lavori la famiglia dell'imprenditore, secondo alcune regole ben precise

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Pubblicato: 9 Ottobre 2024 09:16

L’impresa familiare si viene a costituire nel momento in cui la famiglia dell’imprenditore collabora nelle attività aziendali, anche quando sono svolte con la formula dell’impresa individuale. A disciplinare questo tipo di società è l’articolo 230-bis del Codice Civile, attraverso il quale viene data la possibilità alla partita Iva di tipo individuale di ottenere la collaborazione del coniuge o dei parenti fino al terzo grado. E degli affini fino al secondo grado.

Nell’impresa familiare la partecipazione della famiglia all’attività economica è una caratteristica fondamentale. Ma, soprattutto, rappresenta una valida alternativa all’apertura di una Sas o di una Srl, che hanno dei costi maggiori anche di gestione.

Ma entriamo nel dettaglio e cerchiamo di comprendere come funziona l’impresa familiare e quali ne sono le caratteristiche principali.

Impresa familiare, di cosa si tratta

A caratterizzare l’impresa familiare è l’organizzazione aziendale, che vede la partecipazione, prima di tutto, della famiglia dell’imprenditore. L’articolo 230-bis del Codice Civile disciplina esplicitamente le attività organizzate in questa forma:

Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.

Quali sono i familiari ammessi all’attività

Perché possa essere avviata un’impresa familiare è necessario che collaborino all’attività imprenditoriale il titolare e la sua famiglia, quindi i seguenti soggetti:

  • il coniuge;
  • i nonni, gli zii, i cugini e i nipoti, quindi i parenti entro il terzo grado;
  • i suoceri e i cognati: gli affini entro il secondo grado.

Per avviare un’impresa familiare è necessario avviare una ditta individuale. L’attività, in alternativa, può essere una derivazione di una già avviata. È necessario, ad ogni modo, redigere un atto al cui interno siano indicati:

  • l’attività che viene esercitata dal titolare;
  • i dati dei familiari che collaborano e il grado di parentela.

Il notaio, che ha redatto l’atto, entro entro 30 giorni dalla stesura provvede all’iscrizione nel Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio nella quale l’impresa ha sede legale.

I motivi che possono far venire meno l’impresa familiare

Come si può ben capire dal nome stesso dell’azienda, nell’impresa familiare è prevista la collaborazione attiva della famiglia. Uno dei casi che possono determinare l’invalidità di questo tipo di attività è, per esempio, è il divorzio, nel caso in cui si dovesse basare sui coniugi. Non impatta, sulla formula scelta, la separazione.

Altro fattore da tenere a mente sono le collaborazioni dei familiari che svolgono la propria attività come lavoratori dipendenti, autonomi o d’impresa continuativa. Questi soggetti non possono rientrare tra quelli che possono accedere all’impresa familiare.

Attraverso la Legge n. 76/2016 – che regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso – ha riconosciuto alcuni diritti al convivente di fatto che presti la propia attività professionale all’interno dell’impresa del convivente. L’articolo 230-ter del Codice Civile ha stabilito che al conviventi di fatto spetti una partecipazione:

  • agli utili dell’impresa;
  • ai beni che sono stati acquistare con gli utili;
  • agli incrementi dell’azienda, anche in merito all’avviamento, che deve essere commisurata al lavoro prestato.

Come deve essere costituita un’impresa familiare

La disciplina che sta a monte all’impresa familiare è sostanzialmente molto semplice. Non è previsto un numero minimo di partecipanti. Ma, soprattutto, non si basa sui rapporti economici che intercorrono tra l’imprenditore ed un particolare familiare: per questo non necessita di un atto pubblico o di una scrittura privata da parte di un notaio. È bene, ad ogni modo, appoggiarsi proprio su quest’ultimo per stilare l’atto costitutivo dell’azienda, in modo da evitare potenziali disguidi o problemi in futuro. Grazie all’atto è possibile formalizzare le quote di partecipazione e beneficiare della relativa disciplina fiscale.

L’articolo 5, comma 4 del Tuir prevede – dai presupposti necessari per ripartire il reddito dell’impresa familiare tra titolare e collaboratori – che i partecipanti risultino nominalmente: deve essere indicato il rapporto di parentela con l’imprenditore. Il legame deve essere indicato all’interno di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata avente data anteriore all’inizio del periodo d’imposta.

La chiusura di una collaborazione

Ovviamente all’interno dell’impresa familiare, grande importanza è data al ruolo del titolare, l’unico che ha la possibilità di decidere chi accettare all’interno dell’impresa e chi no. Anche i minorenni ne possono far parte. L’imprenditore, in qualsiasi momento, può decidere di interrompere il rapporto di lavoro con un determinato parente.

Il familiare, da parte sua, ha diritto a chiedere la sua quota di utili e degli incrementi che sono maturati durante il periodo nel quale ha lavorato all’interno dell’azienda. La normativa e la prassi giurisprudenziale hanno stilato una serie di ipotesi di cessazione dell’appartenenza del familiare all’impresa. Tra queste rientrano:

  • l’eventuale recesso da parte di un familiare, che deve essere effettuato con preavviso;
  • il recesso per giusta causa da parte di un familiare, che ha effetto immediato;
  • l’esclusione di un determinato familiare, nel caso in cui dovesse rappresentare un elemento negativo per l’impresa;
  • la perdita dello status di familiare.

Familiari, quali diritti economici hanno

Perché un qualsiasi soggetto abbia diritto a partecipare all’impresa familiare, all’interno della stessa deve svolgere un lavoro abituale e continuativo. L’attività deve essere svolta in misura prevalente rispetto a qualsiasi altra attività di lavoro dipendente, autonomo o d’impresa. Non possono rientrare tra i collaboratori familiari quanti stiano svolgendo un’attività di lavoro dipendente o autonomo in modo continuativo. Possono essere compresi, invece, i pensionati.

A seguito della loro partecipazione, i familiari acquisiscono i seguenti diritti economici e decisionali:

  • il diritto ad essere mantenuti, in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia;
  • il diritto a partecipare agli utili dell’impresa e ai beni che sono stati acquistati con gli stessi. Hanno, inoltre, diritto a partecipare agli incrementi dell’azienda, in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;
  • possono intervenire alle decisioni che riguardano l’impiego degli utili e degli incrementi del patrimonio dell’impresa;
  • hanno il diritto di prelazione in caso di cessazione dell’azienda.