Nato nel 1848 e deceduto nel 1923, Vilfredo Pareto è stato un celebre economista, ingegnere e sociologo. Uno dei teorici della politica dell’etilismo, ha di certo condizionato il pensiero dalla metà dell’Ottocento al primo Novecento.
Il suo passaggio dall’economia alla sociologia
L’attenzione per la sociologia nasce in seguito allo studio statistico relativo alla distribuzione dei redditi. Aveva ottenuto prova della stabilità della natura umana, al netto del variare delle condizioni storico-geografiche.
Fonda di fatto quella che lui stesso definiva sociologia scientifica. Il punto di partenza risiede nel concepire come l’individuo sociale, nella maggior parte dei casi, abbia un comportamento non logico, dunque privo di scopo evidente e, in termini generali, senza un’apparente coscienza dell’obiettivo perseguito.
Questo aspetto ci accomuna alle specie animali ma, rispetto a esse, l’uomo presenta la caratteristica di accompagnare tali atteggiamenti con formulazioni verbali. Ciò al fine di garantire una motivazione comportamentale. Compito della sociologia è dunque l’individuare le costanti del comportamento non logico e, al tempo stesso, quali sono le caratteristiche e la funzione del discorso sociale.
Il pensiero di Pareto
In questo ambito nasce la sociologia di Vilfredo Pareto, che si caratterizza per quattro grandi contrafforti:
- teoria dell’azione non logica;
- teoria dei residui e delle derivazioni;
- teoria delle elite;
- teoria dell’equilibrio sociale
Scendendo nel dettaglio, la teoria dell’azione non logica, al di là di ciò che abbiamo già sottolineato, garantisce una classificazione dei comportamenti sociali, in relazione tanto agli aspetti percettivo-motori quanto a quelli linguistico-cognitivi. L’attenzione di Pareto è stata rivolta soprattutto alla sfera del linguaggio, che considerava il tipo puro di azione non logica. Ciò perché in assenza di una coscienza esplicita delle competenze grammaticali che si sfruttano al fine di raggiungere lo scopo.
La teoria dei residui e delle derivazioni, invece, prova a spiegare natura e funzionamento delle manifestazioni simboliche che vanno di pari passo con il comportamento sociale. In particolare l’attenzione viene riposta sul discorso sociale, ovvero sulle ragioni che il singolo individuo offre come giustificazione dei propri atteggiamenti. Per Pareto sarebbero arbitrati rispetto alle motivazioni effettiva che danno il via all’agire.
La sua teoria è che dalla grande varietà sia però possibile risalire a delle costanti della natura umana. Ecco cosa si intende per residui, è ciò cui si giunge partendo dai discorsi umani. Una teoria che è, al tempo stesso, della cognizione sociale e delle tecniche argomentative.
La teoria delle elite, invece, è conseguenza della costanza della natura umana, così come di una sua preminenza sui fattori ambientali. In ogni ramo della società, sostiene Pareto, vi sono individui che eccellono sulla base di determinate abilità. Entrano dunque a far parte dell’elite corrispondente. Dei vari aspetti del vivere in società, in merito a questa teoria Pareto si concentra sull’elite politica.
Sguardo rivolto, dunque, a chi eccelle nell’arte del comando politico. La storia, spiega, è un cimitero di elite. Un susseguirsi di nuovi ma, al tempo stesso, immodificabili nella loro struttura rapporti unilaterali di rispetto tra governanti e governati. Un costrutto che conduce alla teoria dell’equilibrio sociale, dai critici definita la più traballante. In assenza di una formalizzazione matematica, Pareto si concentra sul sistema di vincoli sistemici dell’agire dei singoli individui impegnati nel vivere in società.