A stretto giro dall’approvazione del tetto massimo al prezzo del petrolio da parte dei Paesi del G7 e dell’Unione europea il Cremlino aveva promesso una risposta, che è puntualmente arrivata. Stretta nella morsa di un’economia sempre più in crisi, la Russia concretizza la rappresaglia sul greggio e derivati attraverso un decreto di Vladimir Putin che vieta la fornitura di petrolio ai Paesi che hanno sottoscritto il “price cap”.
Putin firma lo stop al petrolio per i Paesi col price cap: il decreto
Il provvedimento firmato dal presidente russo entrerà in vigore dal prossimo febbraio e sarà valido fino a luglio del 2024, contro tutti i Paesi che hanno adottato il “price cap” di 60 dollari al barile e l’embargo del greggio trasportato via mare, scattato il 5 dicembre.
Il meccanismo approvato dall’Ue prevede il divieto per gli operatori, europei o di Paesi terzi, di usare servizi marittimi europei, tra trasporti, assicurazioni, finanziamenti o intermediazioni, se il greggio viene venduto a un prezzo superiore al tetto. Questa soglia massima sarà rivista ogni due mesi sulla base delle quotazioni del mercato, ma sarà fissato sempre al 5% al di sotto dei prezzi correnti.
L’embargo per i prodotti raffinati è stato previsto invece a partire dal 5 febbraio e il tetto per i derivati del petrolio sarà stabilito in prossimità di quella data.
L’impatto del tetto massimo al momento risulta però relativo dato che attualmente il greggio russo si aggira intorno ai 65 dollari al barile, appena al di sopra del tetto massimo, ma gli addetti ai lavori ritengono che Putin stia vendendo il petrolio a un prezzo inferiore al tetto, anche a meno di 50 dollari e, in base agli ultimi dati dell’Agenzia internazionale dell’energia.
“Non è previsto alcun danno per la Russia, per la nostra economia o industria. Vendiamo approssimativamente a quei prezzi che sono stati definiti come limite” ha affermato il presidente russo convinto che il “price cap” non porterà ingenti danni all’economia russa.
Putin firma lo stop al petrolio per i Paesi col price cap: gli effetti sull’Europa
La contromossa di Mosca al tetto su greggio e derivati è introdotta, recita il decreto secondo quanto riportato dall’agenzia stampa russa Ria Novosti , “in relazione alle azioni ostili e contrarie al diritto internazionale degli Stati Uniti, degli Stati stranieri e delle organizzazioni internazionali che vi hanno aderito”.
Una ritorsione non di poco conto se si considera che la Russia è il secondo esportatore di petrolio al mondo dopo l’Arabia Saudita e il secondo fornitore dell’Unione Europea, dove l’embargo, stando alle stime dell'”International Energy Forum”, provocherà l’arrivo di almeno tre milioni di barili in meno ogni giorno.
In questo quadro l’Italia non potrà più rifornirsi da Mosca nemmeno in regime di “price cap”, in quanto, per via dell’embargo, non può più importare greggio via nave dalla Russia, con la quale non è nemmeno collegata da oleodotti.
Il greggio russo via nave era però molto richiesto fino a poco temo fa, dalla raffineria più grande del nostro Paese, la Isab di Priolo (Siracusa) di proprietà della russa Lukoil, fornitrice del 22% dell’intero fabbisogno annuo di prodotti derivati dalla raffinazione come carburanti, gasolio e benzina.
La compagnia petrolifera aveva anche quadruplicato le importazioni dai 120mila barili del 2021 ai 500mila di agosto, affermando che a causa delle sanzioni contro la Russia non poteva comprare materia prima da altri produttori.