Non c’è pace per i consumatori. Dopo aumenti record dei carburanti (ne abbiamo parlato qui), bollette e carrello della spesa, neanche l’inflazione dà tregua agli italiani.
Secondo l’Istat, a dicembre 2022 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per la collettività, al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,3% su base mensile e dell’11,6% su base annua. L’Italia diventa così uno dei cinque Paesi europei con i maggiori rincari (dall’inflazione alla “peggior crisi energetica”: com’è andato il 2022).
Inflazione record dal 1985: i dati
L’incremento del livello di inflazione rispetto a novembre è stato di ben l’11,6%. Nel 2022 in media i prezzi al consumo hanno registrato una crescita pari al +8,1% (mentre nel 2021 era stato del +1,9%). Al netto dei beni energetici e di quelli alimentari freschi (inflazione di fondo), i prezzi al consumo sono cresciuti del 3,8% (+0,8% nell’anno precedente) e al netto dei soli energetici del 4,1% (+0,8% nel 2021).
In riferimento al dato annuale, l’Istat ha parlato “dell’aumento più ampio dal 1985, quando il dato fu pari a +9,2%“. Il fenomeno è causato principalmente dall’andamento dei prezzi dei beni energetici: +50,9% in media annuale nel 2022“. E qui i dati mostrano il primo “paradosso”: l’inflazione aumenta, certo, ma la sua crescita mostra segni di rallentamento.
Inflazione va veloce, ma rallenta un po’
Il rallentamento dei prezzi si registra anche per quanto riguarda il carrello della spesa. L’Istat riferisce ancora che i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona “rallentano su base tendenziale da +12,7% a +12,6%, come anche quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +8,8% di novembre a +8,5%)”. Emerge dunque un lieve rallentamento dei beni di prima necessità, che tuttavia viaggiano a livelli record che non si osservavano dal 1983 (nel 2022 anche i prezzi delle case sono aumentati: i valori nella tua città).
I beni energetici, pur mantenendo una crescita importante, passano da +67,6% di novembre a +64,7%, in particolare della componente non regolamentata (da +69,9% a +63,3%) e ai prezzi dei beni alimentari non lavorati (da +11,4% a +9,5%) e dei servizi relativi ai trasporti (da +6,8% a +6,0%).
Famiglie: su il reddito, giù il risparmio
I numeri diffusi dall’Istat mostrano come nel terzo trimestre il reddito delle famiglie consumatrici sia aumentato in termini nominali dell’1,9% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi finali sono cresciuti del 4,1%. La tendenza al risparmio delle famiglie consumatrici “è stimata al 7,1%, in calo di 1,9 punti rispetto al trimestre precedente”.
L’Istituto di statistica parla di propensione al risparmio “scesa a livelli inferiori rispetto al periodo pre-Covid”. Il potere d’acquisto delle famiglie, “frenato dalla crescita dei prezzi (+1,6% la crescita del deflatore implicito dei consumi), è tuttavia cresciuto sul trimestre precedente dello 0,3%”.
Carrello della spesa: i prodotti che costano di più
Incrociando i dati di Istat ed Eurostat, il caro prezzi italiano su base annuale è uno dei più consistenti del Vecchio Continente. Il caro energia traina anche il rialzo dei prezzi dei beni alimentari, dei trasporti e dei servizi collegati. Le ripercussioni più gravi per i consumatori si registrano nel carrello della spesa.
In Italia la vera stangata riguarda in particolare il costo al dettaglio del riso, cresciuto in un anno del 35,4%. Il dato è di gran lunga superiore alla media dell’Eurozona (+23,2%) e più del doppio di quella francese (+15,8%), spagnola (+15,3%) e greca (+9,8%). Il rincaro della pasta (+21%) è stato invece lievemente inferiore a quello medio dell’area euro (+22,2%). Lo stesso si può dire per il costo di pane e cereali (In Italia +16,2%, nell’Eurozona +17,1%).
Carne, pesce, latte, uova e verdura
Rispetto al resto d’Europa, il nostro Paese vede aumenti più contenuti per quanto concerne i prezzi della carne (Italia +10,9%, area Euro +15,1%). In altri Stati come la Germania sono cresciuti molto di più (+19,8%). Lo stesso andamento è stato osservato per il mercato del pesce: in Italia +10,1%, in Germania +18% e in Francia +12,3%, contro una media europea del +12,5%.
In forte rialzo anche i costi di latte, uova e formaggi (+18,4% in Italia), un livello molto più contenuto della media comunitaria (+24,11%). Il picco in questo caso è stato registrato in Germania (+33,9%), seguita da Grecia (+25,3%) e Spagna (+24,4%). I prezzi della verdura in Italia sono invece saliti del 15,2%, mentre nell’Eurozona il dato è più alto (+16,6%).
Il paradosso: nell’Eurozona l’inflazione scende più del previsto
I dati dell’Istat sul “galoppo” dell’inflazione sono confermati anche dall’Eurostat. A dicembre nell’area degli Stati che adottano l’euro, la cosiddetta Eurozona, l’inflazione è scesa al 9,2% su base annua, in netto calo rispetto al 10,1% segnalato nel mese di novembre 2022. È un dato più basso rispetto alle previsioni avanzate degli analisti, che avevano prospettato un 9,7%, ed è inoltre la prima volta da settembre in cui l’inflazione è inferiore al 10%
Tra i grandi Paesi dell’Eurozona, l’Italia è quello in cui a dicembre il tasso di inflazione si è mantenuto su livelli più alti. L’indice dei prezzi al consumo armonizzato (HICP), utilizzato per comparare l’andamento dei prezzi nei diversi Stati, si è attestato nel nostro Paese al 12,3% anno sull’anno (+0,2 sul mese precedente).
Un dato alto rispetto alle nazioni confinanti: in Germania si registra il 9,6%, il 6,7% in Francia e il 5,6% in Spagna. La media italiana è superiore a quella dell’Eurozona, fissata al 9,2%. Peggio di noi fanno solo i Paesi dell’Est Europa, che evidenziano tassi altissimi: oltre il 20% in Lettonia e Lituania, 17,5% in Estonia, 15% in Slovacchia. Meglio di noi, ma comunque male anche i Paesi Bassi, che registra un aumento inflazionistico dell’11% su base annua e dell’0,7% sul mese precedente.
Dopo l’energia (al 25,7%, comunque meno rispetto al 34,9% di novembre), a pesare sono i prezzi di cibo, alcol e tabacco (13,8%, rispetto al 13,6% di novembre), beni industriali non energetici (6,4%, rispetto al 6,1% di novembre) e servizi (4,4%, rispetto al 4,2% di novembre).
La classifica europea
Il motivo per cui in Italia il dato è superiore rispetto ad altri Stati del cuore d’Europa è legato alla forte dipendenza dalle importazioni di energia e dalla necessità di produrre metà dell’elettricità che consumiamo a partire dal gas naturale. A pesare, in maniera generalizzata in tutta Europa, è dunque anche la produzione industriale. Sempre secondo Eurostat, il settore appare in calo a novembre dello 0,9% sia nell’area euro sia nell’Ue a 27 rispetto a ottobre, grazie soprattutto alla riduzione della componente energetica. L’Italia, in questo particolare ambito, è in controtendenza e registra il maggior rialzo (+3,3%).
Ecco di seguito i tassi di inflazione dei vari Stati membri dell’Ue misurati tramite il sopra citato indice HICP. L’Italia è al quinto posto. L’andamento generale, come ricordato, evidenzia un rallentamento che però non impedisce all’inflazione di mantenersi su livelli ben sopra la media.
- Lettonia: 20,7 (-0,5)
- Lituania: 20 (+0,1)
- Estonia: 17,5 (-0,1)
- Slovacchia: 15 (+0,1)
- Italia: 12,3 (+0,2)
- Paesi Bassi: 11 (+0,7)
- Slovenia: 10,8 (+0,1)
- Austria: 10,5 (-0,3)
- Belgio: 10,2 (-0,3)
- Portogallo: 9,8 (-0,4)
- Germania: 9,6 (-1,2)
- Finlandia: 8,9 (-0,3)
- Irlanda: 8,2 (-0,3)
- Cipro: 7,6 (0,8)
- Grecia: 7,6 (0,6)
- Malta: 7,3 (0)
- Lussemburgo: 6,2 (-1,4)