Inflazione al 5,8% nei Paesi Ocse a marzo: Italia sotto la media all’1,2%

Inflazione dell'Ocse stabile al 5,8%: Italia molto sotto la media, ma la corsa dei prezzi non si ferma

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

L’Ocse, l’organizzazione dei Paesi sviluppati con un’economia di mercato, ha diffuso i dati sull’inflazione annuale a marzo. Il dato è rimasto sostanzialmente stabile nell’ultimo mese, passando dal 5,7% al 5,8%. In Italia le cifre sono però molto diverse: l’aumento dei prezzi è più basso, solo l’1,2%, ma è molto più alto rispetto a quello del mese precedente, a causa del rallentamento del calo del costo dell’energia.

Il dato sull’inflazione dell’Italia rimane comunque molto basso, anche troppo per gli standard fissati dalla teoria economica, che vorrebbe che un Paese sano presenti un aumento dei prezzi su base annua di circa il 2%. La media Ocse inoltre presenta grosse distorsioni a causa della grande differenza tra i dati degli Stati che ne fanno parte.

I dati sull’inflazione Ocse: la situazione dell’Italia

Sono stati pubblicati i dati sull’inflazione nei Paesi dell’Ocse, l’organizzazione che riunisce molte delle più importanti economie di mercato al mondo. La rilevazione a livello generale segnala una stabilità sostanziale. Il dato è cresciuto da febbraio dello 0,1%, attestandosi in media attorno al 5,8% rispetto a quello di marzo 2023. I prezzi aumentano quindi ancora in maniera molto forte, ma non è questo il caso dell’Italia.

L’Ocse ha infatti rilevato una tendenza completamente opposta per il nostro Paese. Al contrario di quanto accaduto in media, in Italia l’inflazione a marzo è aumentata di molto rispetto a febbraio. Il dato ha toccato infatti l’1,2% mentre si era fermato allo 0,8% a febbraio. Una crescita sostanziale di mese in mese, che però segnala ancora prezzi in aumento molto flebile rispetto al 2023. Di fatto l’opposto di quanto accade mediamente nell’Ocse.

L’aumento dell’inflazione in Italia sarebbe dovuto soprattutto a fattori contingenti, come i prezzi dei beni energetici. Spesso questi non vengono considerati nel calcolo della cosiddetta inflazione di fondo, perché molto instabili rispetto ad altri e quindi poco utili per ricavare un quadro economico completo dal dato inflazionistico.

Perché l’inflazione nell’area Ocse è così alta

L’inflazione nell’area Ocse rimane però molto alta. Il 5,8% è un dato superiore a ogni limite considerato sano per l’aumento dei prezzi, dato che solitamente dovrebbe attestarsi attorno al 2% su base annua. Questo accade perché l’organizzazione per lo sviluppo economico riunisce Paesi molto diversi tra loro.

Ne fanno infatti parte quasi tutti i Paesi dell’Ue, tranne Croazia e Bulgaria, Regno Unito, Svizzera e Norvegia, ma anche Canada e Usa in Nord America, Australia e Nuova Zelanda in Oceania, Corea del Sud e Giappone in Asia, Turchia e Israele in Medio Oriente, Messico, Costa Rica, Colombia e Cile in America Latina. In tutto i membri sono 38 ed è facile quindi che si verifichino situazioni uniche che possono influenzare i dati registrati dall’organizzazione.

Se i dati inflazionistici in Europa si stanno stabilizzando attorno al 2%, così come quelli di Giappone e Corea del Sud, negli Usa l’aumento dei prezzi viaggia ancora oltre il 3% e in Nuova Zelanda e Messico al 4%. A influenzare la media c’è però soprattutto la Turchia. Le politiche monetarie del Paese hanno per lungo tempo ignorato la situazione dell’economia del Paese. A marzo l’inflazione ha toccato il 68,5% sul 2023.