Allarme negozi da Confcommercio, -111 mila dal 2012: uno su cinque ha chiuso

Sempre più negozi chiusi, l'analisi di Confcommercio lancia un chiaro allarme: ecco come la crisi si è abbattuta sulle attività commerciali negli ultimi 10 anni

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Confcommercio lancia un vero e proprio grido d’allarme per i negozi in Italia, con i dati dal 2012 al 2023 che mostrano uno scenario drammatico per i punti vendita al dettaglio che registrano 111 mila chiusure. Secondo l’analisi “Demografia d’impresa nelle città italiane”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio con il centro studi Guglielmo Tagliacarne, emerge infatti una “sempre più preoccupante” desertificazione commerciale delle nostre città, con una riduzione marcata principalmente nei centri storici rispetto alle periferie delle grandi città. Un fenomeno che deve essere contrastato, consiglia Confcommercio, con “progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città”.

Un negozio su cinque è sparito

I numeri analizzati nel rapporto “Demografia d’impresa nelle città italiane” dell’Ufficio Studi di Confcommercio fanno risuonare un chiaro campanello d’allarme. Negli ultimi dieci anni, infatti, il tessuto commerciale delle città è sì cambiato, ma peggiorato per le attività che sono state costrette a chiudere.

Sarà stata forse la pandemia, che ha costretto tanti commercianti ad abbassare definitivamente le saracinesche, o forse la crisi economica degli ultimi anni, sta di fatto che il numero di attività perdute è da record. Dal 2012 al 2023, infatti, Confcommercio registra 111.000 punti vendita al dettaglio morti e che non sono stati sostituiti e 24 mila attività di commercio ambulante perdute, un dato in linea con quello del 2022ne.

Il segno negativo è principalmente per i negozi di libri e giocattoli (-35,8%), di mobili e ferramenta (-33,9%), abbigliamento (-25,5%). Ma dai centri storici spariscono sempre di più anche i distributori di carburanti (-40,7% rispetto al 2012). Numeri che, tradotti, equivalgono a un’attività commerciale su cinque chiusa rispetto al 2012.

E alcuni di questi negozi, va sottolineato, hanno preferito chiudere dopo essere stati sovrastati dal web. La crescita dell’e-commerce è infatti la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi, ma è comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale. Resta infatti fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche di un canale online ben funzionante. Negli ultimi cinque anni gli acquisti di beni su Internet sono infatti quasi raddoppiati, passando da 17,9 miliardi del 2019 a 35 miliardi del 2023, una crescita da non sottovalutare.

Ma il tessuto cambia e ad aumentare sono state le farmacie, che segnano +12,4%, i negozi di computer e telefonia (+11,8%), le attività di alloggio (+42%) e quelle di ristorazione (+2,3%). E crescono anche le imprese straniere nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi (+30,1% tra il 2012 e il 2023) mentre si riducono quelle con titolare italiano (-8,4%).

Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, un fenomeno che interessa tanto il Centro-Nord che il Mezzogiorno, fino allo scorso anno caratterizzato – quest’ultimo – da una maggiore vivacità commerciale.

Come aiutare le attività commerciali

Nella sua analisi Confcommercio ha lanciato l’allarme, ma ha proposto anche possibili soluzioni. Se è vero che la desertificazione commerciale delle nostre città prosegue spedita, con un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante, il commercio rimane comunque vitale perché ha un suo valore sociale che va preservato.

E il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, commentando l’analisi sulla demografia di impresa nelle città italiane sottolinea come sia “prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città”.