Tupperware a un passo dal fallimento: l’azienda chiede l’amministrazione straordinaria

La famosa azienda di contenitori in plastica per alimenti Tupperware sta per fallire: attivata l'amministrazione straordinaria

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Pubblicato: 18 Settembre 2024 12:00Aggiornato: 18 Settembre 2024 12:19

La famosa azienda americana produttrice di contenitori in plastica per alimenti Tupperware ha richiesto l’amministrazione straordinaria. Un tribunale aiuterà la dirigenza ad appianare debiti che si sono accumulati negli ultimi anni e a risanare la situazione finanziaria della società. Tupperware esiste dal 1946 e tra gli anni ’50 e ’60 è diventata il marchio più riconoscibile per i contenitori di alimenti, tanto che in Italia il suo nome li individua per antonomasia.

Il modello di vendita particolare che Tupperware ha implementato nel secondo dopoguerra le ha permesso di raggiungere un enorme numero di persone. Si trattava di un particolare tipo di marketing porta a porta, che però nel corso degli anni ha perso efficacia a causa di alcuni cambiamenti nella società. Questo, insieme alla chiusura del mercato cinese e alla diffidenza delle nuove generazioni verso la plastica ha causato una crisi sempre più grave culminata nella decisione di affidare i propri debiti a un tribunale.

Tupperware chiede l’amministrazione straordinaria

L’azienda Tupperware, famosa per la produzione e la commercializzazione di contenitori in plastica per alimenti, ha chiesto l’amministrazione straordinaria negli Stati Uniti, Paese in cui ha sede, tramite il cosiddetto Chapter 11. La dirigenza ha di fatto ammesso che la società è a un passo dalla bancarotta e ha chiesto a un tribunale di concordare un piano per l’appianamento dei debiti.

Il Chapter 11 si distingue dal Chapter 7, la bancarotta, perché, pur essendo una procedura fallimentare, non prevede la liquidazione dell’azienda. Il tribunale blocca in automatico tutte le azioni dei creditori volte alla riscossione dei crediti. Al contrario, chi vanta crediti nei confronti di Tupperware sarà ripagato a seconda del proprio ruolo, quindi prima i creditori garantiti, poi i dipendenti che attendono gli stipendi arretrati, quindi i fornitori e solo infine il resto dei creditori.

Se il piano di risanamento non fosse stato accettato dal tribunale o si rivelasse impossibile da eseguire, il Chapter 11 potrebbe essere superato e, in quel caso, si passerebbe al vero e proprio Chapter 7, la bancarotta con liquidazione della società.

Secondo quanto riportato da CNBC, Tupperware avrebbe al momento debiti stimati tra 1 miliardo e 10 miliardi di dollari. Le proprietà e gli asset dell’azienda sono calcolati tra i 500 milioni e il miliardo di dollari. Di recente l’azienda aveva provato a riprendersi da un lungo periodo di stagnazione e poi di crisi. La pandemia aveva riportato molti americani a cucinare in casa, aumentando le vendite e anche il valore delle azioni di Tupperware in Borsa.

Il guadagno si era però rivelato effimero e, finito il lockdown, il fatturato della società era tornato quello del 2019. Più di recente la dirigenza aveva firmato un accordo con la catena di grande distribuzione americana Target, per portare i propri prodotti nei suoi supermercati, abbandonando dopo più di 75 anni il metodo di vendita porta a porta che aveva fatto la fortuna di Tupperware negli anni ’50. L’operazione aveva portato fondi importanti nelle casse di Tupperware, ma non abbastanza per evitare l’amministrazione straordinaria.

Il fallimento di un metodo di vendita

Tupperware fu fondata nel 1946 da Earl Tupper, chimico, ma l’azienda non conobbe il successo prima degli anni ’50 quando la segretaria di Tupper, Brownie Wise, elaborò il metodo di vendita “Home Party Plan”. La strategia di marketing si basava su un gruppo di donne professioniste che vendevano porta a porta i prodotti. Invece di cercare di convincere soltanto la persona con cui entravano in contatto, spesso una donna casalinga, tentavano di coinvolgerla nel processo di vendita. In cambio di un regalo spesso in prodotti dell’azienda stessa, la donna veniva reclutata per organizzare una festa nella propria abitazione a cui invitare amiche e parenti.

In questo modo i prodotti venivano esposti e venduti a una quantità sempre più grande di persone. La donna reclutata da Tupperware riceveva un numero di regali maggiore più alte erano le vendite dei suoi “party”. In questo modo il nome dell’azienda si diffuse diventando, in particolare in Italia, quello dei contenitori in plastica per alimenti per antonomasia. Con il passare degli anni però, questo metodo di vendita faticò ad adattarsi ai cambiamenti anche radicali della società occidentale.

Le donne iniziarono, dopo gli anni ’70, a passare sempre meno tempo in casa. L’arrivo nel mondo del lavoro di una grande quantità di donne non fu un problema per Tupperware, che iniziò a reclutare anche lavoratrici convincendole a tenere i loro party anche sul posto di lavoro. L’efficacia della strategia però cominciò a scemare e nell’ultimo decennio l’azienda è entrata in una vera e propria crisi.

Le altre ragioni della crisi di Tupperware

Il fallimento del metodo di vendita porta a porta di Tupperware è stato però soltanto l’inizio delle difficoltà dell’azienda. Come altre aziende che producono oggetti esclusivamente in plastica, anche Tupperware ha subito un calo di vendite legato alle nuove sensibilità ambientali. Soltanto di recente, in piena crisi e quindi senza grossi investimenti, la dirigenza ha cominciato ad attuare una politica più attenta all’ambiente anche per attirare le nuove generazioni, del tutto estranee alla strategia degli “Home Party”.

La pandemia da Covid-19 è stata però il vero spartiacque. Mentre negli Stati Uniti Tupperware viveva un rilancio piuttosto effimero, il mercato cinese, diventato fondamentale negli anni precedenti, non accennava a riaprire. In tre anni di politica Zero Covid le vendite sono calate in Estremo Oriente in maniera molto netta, aggravando ulteriormente il bilancio dell’azienda.

“Negli ultimi anni, la situazione finanziaria dell’azienda è stata gravemente peggiorata da una serie di fattori macroeconomici. Di conseguenza, abbiamo esplorato numerose opzioni strategiche e determinato la miglior strada da percorrere. Questo processo (il Chapter 11, ndr) dovrà fornirci la flessibilità necessaria a sopravvivere, mentre valuteremo le migliori alternative per trasformare Tupperware in un’azienda digitale, che dia maggiore importanza alla tecnologia”, ha dichiarato l’amministratrice delegata e presidente Laurie Ann Goldman.

Tutti i tentativi di cambiare la traiettoria di Tupperware sono stati vani. Dall’accordo con Target ai prodotti Green, fino alla scelta di iniziare a produrre anche utensili da cucina, nessuna delle strategie elaborate dai 5 amministratori delegati che si sono susseguiti negli ultimi anni hanno portato alcun risultato abbastanza significativo da scongiurare la bancarotta. Da qui la decisione di chiedere il Chapter 11. Il valore in Borsa delle azioni della società è sceso a 50 centesimi di dollaro. Soltanto 3 anni fa era arrivato a 36 dollari.