Altri guai per Telegram, l’Ue avvia indagine su presunti numeri truccati dopo il caso Durov

La Commissione Ue ha avviato un'indagine su Telegram per dati sugli utenti sottostimati: Durov avrebbe così evitato le normative più stringenti dalla Dsa.

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Riccardo Castrichini

Giornalista

Nato a Latina nel 1991, è laureato in Economia e Marketing e ha un Master in Radio, Tv e Web Content. Ha collaborato con molte redazioni e radio.

Telegram sembra essere incappata in un vortice dal quale potrebbe uscirne davvero con le ossa rotte. Dopo il fermo e il rinvio a giudizio degli scorsi giorni del suo fondatore Pavel Durov, per capi d’accusa molto gravi, è ora finita al centro di un’indagine Ue condotta dalla Commissione europea che ha l’obiettivo di far emergere delle eventuali irregolarità dell’app di messaggistica nel rispetto delle norme sancite dal Dsa, Digital Services Act. Telegram, più nel dettaglio, avrebbe fornito dei dati sottostimati dei propri utenti complessivi per smarcare le normative più stringenti e severe che sono state previste dall’Ue per le grandi piattaforme digitali.

Telegram, la nuova indagine Ue

Così come riferito dal Financial Times, l’Ue, attraverso il suo organo esecutivo, ovvero la Commissione europea, ha avviato un’indagine nei confronti di Telegram volta a verificare se siano stati dichiarati dall’azienda meno utenti rispetto al reale per sfuggire alle norme più aspre riservate ai grandi player digitali. Più nel dettaglio, Telegram ha dichiarato di avere 41 milioni utenti, ovvero 4 milioni in meno rispetto alla soglia prevista dal Digital Services Act per l’applicazione di normative più stringenti.

Per provare a fare ordine in questa vicenda è necessario guardare ai dati noti e alle dichiarazioni fatte nei mesi scorsi dai protagonisti coinvolti. In base a quanto previsto dalla normativa Dsa, Telegram a febbraio scorso avrebbe dovuto comunicare all’Ue il numero aggiornato dei propri utenti, ma ha mancato questo appuntamento. Il tutto mentre il numero totale degli utilizzatori dell’app di messaggistica, già al centro di molte controversie dovute principalmente alla mancata moderazione dei contenuti che su essa circolano, sarebbe cresciuto molto nel corso degli ultimi mesi. Secondo quanto dichiarato dallo stesso fondatore Durov, infatti, entro la fine del 2024 l’obiettivo del piano di sviluppo prevede di portare gli utenti alla soglia di un miliardo.

I dubbi della Commissione europea

La Commissione europea, così come spiegato da Thomas Regnier, portavoce della commissione per le questioni digitali, ha dei sistemi interni che gli permettono di “determinare quanto siano accurati i dati sugli utenti” che vengono forniti dalle aziende digitali. “Se pensiamo che qualcuno non abbia fornito dati accurati – ha aggiunto – possiamo assegnarli noi unilateralmente sulla base della nostra stessa indagine”. Ecco dunque che in caso di mancata collaborazione e corretto aggiornamento dei dati, Telegram potrebbe essere punita dall’Unione europea, oltre a entrare nel gruppo di piattaforme digitali soggette agli obblighi più stringenti previsti del Dsa. Tra questi ci sono la moderazione dei contenuti – per la cui mancanza Durov è stato rinviato a giudizio – e la condivisione costante dei dati.

Nel gruppo dei grandi player digitali riconosciuti dall’Ue, attualmente composto da 19 attori del settore, troviamo le americane Google, Meta, X, LinkedIn, così come le cinesi TikTok e Alibaba e le europee Booking e Zalando.

Cosa rischiano Durov e Telegram

Benché abbiano come bersaglio gli stessi soggetti, cioè Pavel Durov e Telegram, il fermo del fondatore – libero dopo aver pagato una cauzione da 5 milioni di euro – e l’indagine della Commissione europea viaggiano su due piani differenti. Infrangere il Das, infatti, porta a una violazione amministrativa, con la conseguenza più grave che corrisponde a una multa pari al massimo al 6 per cento del fatturato del ricavo della società. Nel caso delle accuse rivolte a Durov in Francia, invece, si è nel campo del penale. Ciò che accomuna le due vicende, tuttavia, è il pugno di ferro sempre più marcato delle autorità nei confronti degli eventuali illeciti commessi dalle grandi aziende digitali.