Pil, l’Istat rivede al rialzo i dati 2021-2023: quasi 98 miliardi in più per l’Italia

Cambiano in positivo i numeri degli ultimi anni del Pil nazionale: migliorano così deficit e conti pubblici. I nuovi dati

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Giorgio Pirani

Giornalista economico-culturale

Giornalista professionista esperto di tematiche di attualità, cultura ed economia. Collabora con diverse testate giornalistiche a livello nazionale.

Cambiano i dati del Pil italiano negli ultimi due anni; una nuova revisione dell’Istat ha portato a un rapporto debito/Pil più basso e ad un conseguente miglioramento del Prodotto interno lordo nazionale.

Secondo i nuovi dati, nel 2022 il Pil in volume ha mostrato un incremento del 4,7%, con un rialzo di 0,7 punti percentuali, mentre nel 2021 è cresciuto dell’8,9%, con una revisione di +0,6 punti percentuali. La revisione generale dei conti nazionali, con anno di riferimento 2021, ha modificato in misura sensibile le stime dei livelli del Pil e dei principali aggregati negli ultimi anni. Il ricalcolo, come previsto, offre buone notizie per il governo Meloni, che si trova a dover gestire i calcoli per la Legge di Bilancio del 2025.

Cambia il Pil 2021-2023: i nuovi dati

“Rispetto alle stime diffuse a marzo 2024, il Pil nominale del 2021 è risultato superiore di circa 21 miliardi e nel 2022 e 2023, rispettivamente, di 34 e 43 miliardi – precisa il report – Per effetto della revisione, il Pil in volume del 2023 si è attestato a un livello per la prima volta superiore al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008″. In pratica, dalla revisione del Pil 2021-2023 lo Stato italiano ha così 98 miliardi in più. La revisione dei conti implica però che nel 2023 il Pil è cresciuto solo dello 0,7%, rispetto alla precedente stima di +0,9%. Questo perché negli anni precedenti, invece, era salito di più: +4,7% nel 2022 (invece che +4%), e +8,9% nel 2021 (invece che +8,3%).

Inoltre, il rapporto debito/Pil si riduce al 134,6%, rispetto al 137,3% di aprile. Il saldo primario, calcolato come l’indebitamento netto meno la spesa per interessi, si fissa così a -3,5% del Pil. Una riduzione significativa, anche se il debito italiano resta tra i più alti in Europa. Scende anche la pressione fiscale: nel 2023 è al 41,5% del Pil contro il 41,7% del 2022. Il calo, ha sottolineato l’istituto, fa seguito a un aumento delle entrate fiscali e contributive (6,0%) inferiore rispetto a quello del Pil a prezzi correnti (+6,6%).

La revisione ha portato di conseguenza a un miglioramento dell’indebitamento netto delle Amministrazioni pubbliche in rapporto al Pil. Per il 2022 e il 2023, il dato si attesta rispettivamente a -8,1% e -7,2%, risultando inferiore rispetto alle stime di aprile, che erano -8,6% e -7,4%.

Come cambia ora il deficit italiano

In sintesi, il dato più significativo per il governo Meloni riguarda il deficit italiano. Le nuove regole europee, approvate tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 (anche dall’esecutivo italiano), stabiliscono limiti stringenti sul deficit, fissandolo a un massimo del 3%. Attualmente, l’Italia è soggetta a una procedura di infrazione per deficit eccessivo. Il Piano strutturale di bilancio, che sarà approvato nei prossimi giorni, dovrà delineare le strategie del governo per rientrare nei parametri europei. Il ministro Giorgetti ha già dichiarato l’intenzione di riportare il deficit al 3% del Pil entro il 2026; questo comporta o un significativo aumento del Pil oppure una drastica riduzione delle spese.

Per questo, la revisione dell’Istat rappresenta una buona notizia: con una correzione dello o,2% (che equivale a circa quattro miliardi e mezzo di euro), il governo parte ora con un deficit del 7,2% invece del 7,4%. Questo offre un margine di manovra leggermente maggiore nella redazione della legge di bilancio. Maggiore flessibilità nella gestione delle risorse potrebbe tradursi in minori tagli e, di conseguenza, in una Manovra meno “austera” rispetto alle aspettative precedenti.

“La serie storica dal 1995 avrà una correzione – aveva annunciato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti qualche giorno fa – sicuramente sarà una correzione al rialzo modesta ma al rialzo ed è evidente che questo in qualche modo condizionerà il dato e quindi rispetto agli obiettivi che dobbiamo presentare all’Europa e in Parlamento cambia qualcosina, però non sarà la soluzione dei problemi”

Nel 2023 aumentate le spese per alberghi, ristoranti e trasporti

La crescita del Pil è stata accompagnata da un decremento dello 0,4% delle importazioni di beni e servizi in volume; nel complesso, le risorse di beni e servizi disponibili sono aumentate dello 0,4%. Dal lato degli impieghi, si registrano incrementi dell’1,2% per i consumi finali nazionali, dell’8,5% per gli investimenti fissi lordi e dello 0,8% per le esportazioni di beni e servizi.

Nel 2023, la spesa per consumi finali delle famiglie residenti è cresciuta in volume dello 0,9%. All’interno dei consumi finali interni, la componente dei servizi è aumentata del 3,3%, mentre quella dei beni è diminuita dell’1,3%. Gli incrementi più significativi riguardano le spese per alberghi e ristoranti (+6,4%), ricreazione e cultura (+6,3%) e trasporti (+7,8%). In contrapposizione, si registrano cali nelle spese per vestiario e calzature (-5,6%) e per mobili, elettrodomestici e manutenzione della casa (-6,0%).

Unc: “Dato negativo, anche se fuori dal tunnel del 2008

Nonostante qualche buona notizia, le associazioni di consumatori non esultano: “Dato negativo! La revisione al ribasso è percentualmente molto consistente, ben 0,2 punti su una crescita che si attesa a 0,7. Unica consolazione è che finalmente il Pil nel 2023 è maggiore rispetto al massimo raggiunto prima della crisi finanziaria del 2008, dopo il fallimento di Lehman Brothers. Insomma si è usciti finalmente dal tunnel, ma per questo traguardo si sono dovuti attendere ben 15 anni, un tempo biblico” afferma Massimiliano Dona, presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

“Altro aspetto negativo è che, se i consumi finali nazionali crescono dell’1,2%, la componente della spesa delle famiglie residenti, che è quella che conta maggiormente, resta sempre allo zero virgola, +0,9%. Insomma i consumi delle famiglie restano asfittici” conclude Dona.