L’Opec si divide: l’addio dell’Angola scuote il mercato petrolifero

La strategia di tagli produttivi imposta dall'Arabia Saudita ed il ricalcolo delle quote a favore di alcuni produttori mediorientali ha esacerbato gli animi e fatto crollare il prezzo del petrolio

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Redazione

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L’Angola ha lasciato l’OPEC in disaccordo con la politica di tagli imposta dall’Arabia Saudita e con toni fortemente polemici nei confronti del cartello. Una decisione che ha scosso profondamente il mercato petrolifero, sche è scovpolato ancora sulla scia delle dovisioni palesate in seno al cartello.

L’addio dopo 16 anni di corporativismo

L’angola, che faceva parte dell’OPEC dal 2007, ha sbattuto la porta dopo 16 anni di appartenenza al gruppo dei produttori di greggio, affermando che ciò non coincide più con i suoi interessi.

“Il nostro ruolo nell’organizzazione non è stato ritenuto rilevante”, ha affermato polemico il Ministro per le Risorse Diamantino Azevedo, aggiungendo “non ha più senso rimanere nell’organizzazione”.

“Non è stata una decisione presa alla leggera, ma è arrivato il momento”, ha concluso il Ministro, ribadendo che quando l’appartenenza al cartello non risponde npiù agli interesse del Paese “diventiamo ridondanti e non ha più senso rimanere nell’organizzazione”.

Arabia-Angola si chiude 1-0

L’Angola è da tempo in disaccordo con la politica dell’OPEC, imposta dal suo membro di maggior peso, l’Arabia Saudita, con la quale il Paese sudafricano ha fatto a braccio di ferro per spuntare una politica più morbida. Una battaglia da cui il Paese, secondo produttore africano di petrolio, è uscito sconfitto.

In più l’OPEC all’ultimo vertice ha salutato l’ingresso del Brasile, entrato a far parte del cartello, quindi il peso degli altri membri si è in parte anche ridotto.

La polemica sul ricalcolo delle quote

La vertenza contro l’Arabia è iniziata a giugno, quando sono state rideterminate le quote base della produzione e l’Angola, come altri Paesi membri, ha subito un taglio a favore di altri membri del cartello, come gli Emirati Arabi. Una decisione che prendeva atto del tracollo di produzione del 40% registrato negli ultimi anni.

Le proteste si erano sollevate subito e quindi un terzetto di Paesi membri (Nigeria, Congo ed Angola) aveva chiesto un ricalcolo da parte di esperti indipendenti – IHS, Wood Mackenzie e Rystad Energy – risultato anch’esso in un taglio produttivo per i tre Paesi.

L’Opec più fragile

Ora, l’uscita dell’Angola lascia l’OPEC più fragile, non tanto per la quantità di produzione persa che è ben poca cosa – l’Angola produce poco più di 1 milione di barili di greggio – quanto per le divisioni interne che ha dimostrato di avere, in un’era in cui la transizione energetica e la scelta compatta dell’Occidente di far a meno di fonti di origine fossile rischia di mettere fine al dominio del petrolio e dell’OPEC stesso.

Quotazioni giù

Il mercato petrolifero ha reagito molto male alla notizia dell’uscita dell’Angola ed i prezzi del greggio, dopo aver incorporato negli ultimi giorni le tensioni in Mar Rosso, hanno girato nuovamente al ribasso. Il Brent del Mare del Nord è di nuovo scivolato a 79 dollari ed il WTI a 73 USD/barile. proseguendo la performance negativa avviata a settembre, con il fallimento dei tagli alla riunione post-estate.