Ex Ilva accordo in 48 ore o sentenza già scritta, Urso: “No a nazionalizzazione”

Il ministro Urso ha messo sul piatto 48 ore di trattative con Regione, sindaco e enti tecnici per chiudere il piano ex Ilva prima del 10 luglio

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

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Il ministro Urso si è seduto al tavolo con tutti i rappresentanti delle amministrazioni centrali e locali per sottoscrivere l’accordo relativo al piano di decarbonizzazione dello stabilimento ex Ilva di Taranto. La riunione è iniziata alle 9:30 del mattino e andrà avanti a oltranza fino all’accordo o, per usare le parole di Urso, “la sentenza è già scritta”.

Il ministro ha già confermato di aver tenuto liberi in agenda due giorni, 48 ore di tempo per prendere una decisione che, secondo il presidente della Regione Puglia, non arriverà in giornata.

Accordo o sentenza: la decisione sull’ex Ilva

Sui giornali si rimbalzano le prime dichiarazioni di botta e risposta tra ministero, presidenti di regione e sindaco di Taranto. È un continuo scaricabarile, ma il gioco sembra ormai fatto.

Parole chiare, quelle del ministro dell’Impresa Adolfo Urso, che ha indetto una riunione a oltranza con tutti gli enti e le figure necessarie per trovare l’accordo sul piano per l’ex Ilva di Taranto. “Ho liberato la mia agenda per i prossimi giorni”, ha detto Urso, concedendo quarantotto ore per un’intesa.

Il motivo delle tempistiche strette è che giovedì 10 luglio è stata convocata un’altra conferenza, quella dei servizi tecnici, per valutare la sostenibilità ambientale e il piano sanitario.

Nazionalizzazione dell’Ilva: un “no”

Sull’ipotesi di nazionalizzazione, Urso ha ribadito:

Quando si parla di nazionalizzazione, cioè di esproprio di un’attività produttiva, io vorrei riportare l’attenzione sulla nostra Costituzione: è su quella che ho giurato. Lo Stato può intervenire, sì, ma solo nei limiti previsti dalla nostra Carta.

Urso ha citato l’articolo 43, secondo cui:

A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali, o a fonti di energia, o a situazioni di monopolio e abbiano carattere di preminente interesse generale.

L’ex Ilva non rientra in queste categorie, perché non è un servizio pubblico essenziale, non riguarda le fonti di energia né configura una situazione di monopolio.

La crisi di gestione: serve un accordo

Eppure un accordo serve, e in fretta. Il gruppo deve ottenere la certificazione ambientale per riattivare gli impianti e riprendere la produzione, oggi ridotta ai minimi. A preoccupare di più è l’occupazione: secondo i sindacati, 3.000 su 10.000 lavoratori sono in cassa integrazione e a rischio. Per questo si spinge sulla nazionalizzazione del più grande centro siderurgico d’Italia. Sono stati stanziati 200 milioni di euro, ma bastano per poche settimane, dato che il gruppo perde tra 40 e 50 milioni al mese.

Pur spiegando perché l’ex Ilva non rientra nelle categorie per l’esproprio, Urso non può non riconoscere il monito dei sindacati: a Taranto si produce l’acciaio di base indispensabile per molte filiere del made in Italy, dalle auto ai barattoli.

C’è chi sottolinea che il problema non riguarda solo l’acciaio, ma anche l’incapacità di governare tra vincoli ambientali, investitori in fuga e cambi di rotta. Il sindaco di Taranto ha chiesto “un ragionamento serio, che non scarichi il futuro di centinaia di migliaia di cittadini italiani”. A rischio c’è il presente e il futuro di migliaia di lavoratori: saranno, per questo, 48 ore di fuoco.