L’Europa deve fare mea culpa perché “ha imposto con successo dazi su se stessa“. Sono le parole di Mario Draghi, che ha scritto un editoriale sul Financial Times in cui ha criticato le ultime mosse dell’Ue, proponendo un cambiamento basato su un uso proattivo della politica fiscale. Vediamo nel dettaglio cosa ha detto l’ex primo ministro e le prospettive sui possibili dazi imposto dagli Stati Uniti.
La proposta di cambiamento di Draghi
L’Europa è chiamata a riflettere sulle sue ultime mosse, poiché, come afferma Draghi in un editoriale uscito sul Financial Times, si sarebbe “concentrata troppo su obiettivi singoli o nazionali senza calcolarne il costo collettivo”. L’ex primo ministro e già presidente della Banca Centrale Europea ha sottolineato l’urgenza di un cambiamento radicale basato un approccio più attivo nelle politiche fiscali e la rimozione delle barriere interne, al fine di stimolare l’innovazione e diminuire la dipendenza dalle esportazioni.
Draghi ha affermato che un utilizzo più proattivo della politica fiscale, attraverso un incremento degli investimenti produttivi, potrebbe contribuire a ridurre i surplus commerciali e inviare un forte segnale alle aziende per incentivare maggiori investimenti in ricerca e sviluppo.
Le tariffe imposte dagli Stati Uniti
L’analisi fornita da Draghi mette in evidenza come le recenti settimane abbiano rappresentato un severo promemoria delle fragilità che caratterizzano l’Europa. Alla fine dello scorso anno, l’eurozona ha registrato una crescita minima, evidenziando così la debolezza della ripresa interna, mentre gli Stati Uniti hanno iniziato a introdurre tariffe nei confronti dei loro principali partner commerciali.
Secondo una recente analisi della società di consulenza e ricerca economica Prometeia, con le politiche protezionistiche di Trump, le imprese italiane potrebbero perdere fino a 9 miliardi di dollari. Uno scenario preoccupante se si considera che gli Stati Uniti rappresentano per l’Italia il secondo mercato dopo la Germania. Un aumento dei dazi, secondo l’analisi, determinerebbe un aggravio fino a 7,20 miliardi di dollari, che si aggiungerebbero ai dazi già esistenti, che nel 2023 ammontavano a quasi 2 miliardi di dollari.
Secondo il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, i dazi danneggerebbero però anche chi li vuole imporre. Le stime parlando di oltre due punti di Pil negli Stati Uniti, mentre per l’area dell’euro le conseguenze sarebbero più contenute, intorno a mezzo punto percentuale, con effetti maggiori per Germania e Italia, a causa della rilevanza dei loro scambi con gli Usa.
Panetta ha sostenuto che un incremento delle politiche commerciali statunitensi sulle esportazioni europee non dovrebbe avere effetti rilevanti sull’inflazione. “I dazi potrebbero generare pressioni al rialzo legate a un deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro e a eventuali misure di ritorsione da parte della Ue. Tuttavia, questi effetti verrebbero compensati da un rallentamento dell’economia globale e dal dirottamento verso i mercati europei delle merci cinesi colpite da dazi elevati”.
I fattori che hanno messo in crisi l’Ue
Ma quali sono secondo Draghi i due fattori che hanno condotto l’Europa in questa situazione difficile? L’ex presidente della Banca Centrale Europea punta il dito contro “l’incapacità di lunga data dell’Ue di affrontare i suoi vincoli di fornitura, in particolare le sue elevate barriere interne e gli ostacoli normativi, molto più dannosi per la crescita di qualsiasi tariffa che gli Stati Uniti potrebbero imporre”, mentre il secondo si lega al freno alla crescita delle aziende tecnologiche per effetto della regolamentazione.
Sarebbe stata proprio l’incapacità dell’Europa di abbattere le barriere interne a contribuire a un’intensa apertura commerciale, secondo Draghi. Mentre le restrizioni interne sono rimaste elevate, paradossalmente quelle esterne si sono ridotte a causa della globalizzazione.