Nelle prossime settimane Giorgia Meloni avrà davanti a sè e al suo governo due appuntamenti spartiacque: il voto in Europa sull’Ungheria di Orban e il riodino delle concessioni balneari. Il primo – il voto nei confronti di quello che è considerato un “regime ibrido di autocrazia elettorale” – è un nodo delicato riguardo i rapporti con Bruxelles: se il presidente del Consiglio resterà fedele alla propria alleanza col leader ungherese, il rischio è quello di esacerbare ulteriormente i rapporti già non facili. Il secondo è di natura decisamente più tecnica: il riodino delle concessioni era già stato messo in agenda dal governo Draghi, un rinvio metterebbe a rischio i fondi del PNRR legati a riforme strutturali, e quella sulle spiagge è una di queste.
Nodo concessioni balneari
Il governo a guida Meloni sta pensando di rinviare ancora la riforma dei balneari. La delega firmata da Mario Draghi nella legge sulla concorrenza prevede il riordino delle concessioni entro febbraio 2023, per poi metterle finalmente a gara, ma l’esecutivo vuole posticipare quel termine intervenendo con una norma nel Milleproroghe. Oltre ai beni demaniali, tra le misure da attuare c’è la delega con la mappatura di tutte le concessioni pubbliche; quella sulla vigilanza del mercato e la conformità dei prodotti, quella sulle rinnovabili e la legge sui servizi pubblici locali.
L’uscita della Santanchè
Un problema non da poco è che il ministro del Turismo, Daniela Santanché, è proprietaria (insieme al socio Flavio briatore) proprio di uno stabilimento balneare, il Twiga. “L’intenzione politica – dice Santanché – è che dobbiamo fare le cose bene, non aprire la strada alle multinazionali, non svendere questo patrimonio, studiare, fare una mappatura… ci vorrà del tempo. E poi fare delle gare che consentano a chi fa questo lavoro di continuare a farlo”. E aggiunge una “provocazione”: “sarebbe bene prima assegnare quelle spiagge che ora non sono assolutamente servite – dice – : ci sono tossicodipendenti, rifiuti. Nessuno pensa a tenerle in ordine: forse si potrebbe cominciare da lì. Dovrebbero poi essere ovviamente fruibili da tutti”.
A parte le forzature propagandistiche, va ricordato che l’Italia è l’unico paese in cui le spiagge – bene collettivo – sono concesse a dei gestori. Motivo per cui l’Europa ci ha chiesto di allinearci a chi come Spagna, grecia, Francia, Portogallo, non ha i ‘bagni’ bensì chilometri di spiagge libere. Non è dato sapere se piene di tossici o meno.
La sentenza del Consiglio di Stato
Un altro problema che ha il governo sul tema in questione è quello di rispondere alla sentenza del Consiglio di Stato che ha fissato al 31 dicembre 2023 la fine delle attuali concessioni.
Il problema PNRR
Il governo di destra, in questo senso, ha sempre strizzato l’occhio alle categorie a lui vicine, dai balneari ai tassisti, ma ora è davanti ad un bivio: ribadire i propri no e le proprie bandiere e perdere i miliardi del Recovery fund, oppure accettare che la coerenza andrà sacrificata. “Faremo un calcolo costi-benefici, e capiremo cosa è meglio” spiega a La Stampa una fonte del ministero dell’Economia.