Le elezioni parlamentari e presidenziali in Turchia rappresentano uno snodo epocale per il Paese e molto importante per il bacino mediterraneo e per il mondo. Il “ponte” tra Europa e Asia può mettere la parola “fine” a un ventennio di erdoganismo (o tayyipismo), la dottrina politica portata avanti dall’attuale presidente Recep Tayyip Erdogan, che governa la Turchia dal 2003 (prima come primo ministro e dal 2014 come capo dello Stato).
Il voto del 14 maggio si configura come un evento importante anche per la vicina Italia, che da oltre mezzo millennio (con tutti i distinguo statali e geopolitici del caso) fa i conti con la politica estera “ambigua” di Ankara. E che ora si prepara a modificare la propria postura strategica nei confronti di un Paese che, qualunque sia il risultato definitivo delle urne, inaugurerà una nuova era nazionale.
Com’è andato il voto in Turchia
Dobbiamo precisarlo subito: in quelle che sono già state definite “le elezioni del secolo” non c’è un chiaro vincitore. Mai come nella storia recente della Mezzaluna, il Paese sembra spaccato tra chi vuole proseguire con Erdogan e chi invece preferisce provare la ricetta proposta dallo sfidante Kemal Kiliçdaroglu, leader dell’opposizione. Nessuno dei due è riuscito a ottenere la maggioranza dei voti e dunque si andrà al ballottaggio, previsto per il 28 maggio. Per tutta la notte il Paese è rimasto col fiato sospeso, incalzato da una corsa a due decisa dalle singole preferenze e che ha visto continui sorpassi vicendevoli tra i candidati. Alla fine, però, Erdogan ha ottenuto poco più del 49% dei voti e Kiliçdaroglu circa il 45%. A poche schede dal termine degli scrutini, i due hanno rimandato ufficialmente la sfida elettorale di due settimane. Sinan Ogan, il candidato dell’estrema destra, ha invece incassato poco più del 5% delle preferenze, dopo una dura campagna sul rimpatrio dei circa 4 milioni di migranti siriani.
Durante lo spoglio, non sono mancate le proteste in strada da parte dell’opposizione, formata da una coalizione eterogenea di sei partiti “misti” (di destra e di sinistra) e le accuse (reciproche) di conteggi truffaldini. Le schede elettorali “sono state manipolate”, sostengono gli oppositori, che hanno puntato il dito anche contro l’agenzia giornalistica Anadolu, che già in passato è stata accusata di diffondere soltanto notizie di risultati favorevoli del “Reis”. Erdogan è infatti percepito in patria come il “padrone assoluto” dell’informazione e di un Parlamento “poco sano”, sul quale “regna” da più tempo di qualsiasi altro presidente, persino del fondatore della Repubblica turca Mustafa Kemal Atatürk. “Cercare di annunciare i risultati in fretta significa usurpare la volontà nazionale”, ha replicato Erdogan durante un comizio del Partito islamico Giustizia e Sviluppo (Akp) a Istanbul.
Kiliçdaroglu, guida del partito laico di centrosinistra Chp, ha trionfato in gran parte del sud-est del Paese a maggioranza curda, mentre Erdogan si è confermato forte nelle campagne e nei suoi “feudi” anatolici centrali. Intanto però l’Alleanza popolare, coalizione guidata dal partito di Erdogan e che comprende il Partito del movimento nazionalista (Mhp), si è assicurata la maggioranza dei seggi in Parlamento. Secondo i dati preliminari, l’Akp ha ottenuto oltre il 35% dei voti, assicurandosi 266 seggi, che salgono a 320 su 600 totali assieme agli alleati. L’esito finale è però tutt’altro che scontato. “Siamo in vantaggio noi, non si blocchi la volontà della nazione”, ha tuonato Kiliçdaroglu, promettendo la vittoria del suo schieramento al ballottaggio.
Come funziona il voto in Turchia
I membri dell’assemblea parlamentare, composta da 600 deputati, sono scelti attraverso un sistema proporzionale in cui gli aventi diritto votano per un partito e non per un singolo candidato. Per accomodarsi in Parlamento, una formazione politica deve superare una soglia di sbarramento del 7% delle preferenze o fare parte di un’alleanza che vada oltre tale limite.
A queste elezioni è possibile scegliere tra 36 partiti diversi. Per essere eletto presidente, un candidato deve invece superare la soglia del 50% dei consensi. In caso contrario sarà necessario un secondo turno elettorale, in programma per l’appunto il 28 maggio.
Perché le elezioni in Turchia sono importanti
La Turchia che uscirà dal voto nazionale modificherà inevitabilmente la sua postura sullo scacchiere internazionale. Sia che vinca Erdogan, che sarà chiamato a dare continuità senza sfociare nell’instabilità soprattutto nelle questioni internazionali, sia che vinca Kiliçdaroglu, che promette grandi stravolgimenti interni e il rafforzamento dell’equilibrismo geopolitico fra Occidente e Russia, non solo per la questione ucraina, e la conferma del sostegno all’Azerbaigian nelle guerre del Caucaso.
La strategia geopolitica turca resterà però sempre la stessa: “imperiale”, come la definiscono gli addetti ai lavori e come prosegue imperterrita dalla fondazione dell’Impero Ottomano ai giorni nostri. Siria, Mar Egeo, Libia, Cipro: bastano questi quattro dossier a significare l’importanza della traiettoria turca per il futuro anche dell’Italia. La Turchia reclama la giurisdizione di acque contestate, secondo la cosiddetta dottrina della Patria Blu (di cui Erdogan è grande fautore). Quasi un anno fa Ankara si è riavvicinata a Israele, formalizzando la riapertura delle relazioni, e ha registrato timidi segnali di convergenza anche con l’Arabia Saudita (interessata perlopiù al contenimento dell’Iran nel Golfo Persico).
Perché interessa all’Italia?
Tra tutti i dossier turco-italiani, è forse quello libico a far passare notti insonni ai politici di casa nostra (meno di un anno fa l’allora premier Draghi ha siglato nuovi accordi Italia-Turchia: ne avevamo parlato qui). Anche considerando la divergenza di strategie con la Francia, nostro principale partner mediterraneo. Dopo le tensioni degli ultimi giorni tra Roma e Parigi, il voto turco promette di infuocare ancor di più le polveri. L’Eliseo mira a contenere attivamente l’espansionismo della Turchia, come ha fatto in Libia supportando l’avanzata di Khalifa Haftar verso Tripoli e finanziando (indirettamente) il golpe in Tunisia con cui il presidente Kaïs Saïed ha estromesso dal governo la Fratellanza musulmana filoturca. Per non parlare dell’Egeo, per il quale la Francia ha sottoscritto un accordo di mutua difesa con la Grecia nel settembre 2021.
Dall’altro lato l’Italia coltiva un approccio più “materiale”, privilegiando le profonde relazioni economico-industriali con la Turchia, cooperando per quanto riguarda il dossier libico e tenendosi al contrario a distanza dal confronto turco-greco. Un approccio molto apprezzato da Ankara, che non dovrebbe mutare anche nel caso di vittoria elettorale degli oppositori di Erdogan. Fermo restando che le rivendicazioni territoriali e marittime della Turchia sono percepite come legittime dalla popolazione e rappresentano una sfida troppo grande per attori esterni come Italia, Francia e persino Stati Uniti. Gli esperti hanno pochi dubbi: l’affermazione della Turchia come principale potenza del Mediterraneo orientale è percepita come “inevitabile” per ragioni demografiche, antropologiche, culturali e militari. Ecco perché, qualunque sia l’esito del voto del 28 maggio, la Turchia resterà sempre se stessa.