HIV, tutti i numeri in Italia: la diagnosi arriva ancora troppo spesso tardi

Riconoscere presto l’infezione è fondamentale, ecco perché è importante diffondere le informazioni sulla prevenzione, anche e soprattutto tra i giovani ma non solo

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

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Primo dicembre, giornata mondiale dell’AIDS. A fronte di cifre che dicono quanto e come in Italia si assista ad uno sostanziale stabilizzarsi delle nuove diagnosi, permane un problema che fa rilevare quanto e come ci sia bisogno di parlare ancora di questa infezione, creando sensibilizzazione e conoscenza. Pensate: il numero di nuove diagnosi rimane sostanzialmente stabile nel 2024 rispetto al 2023 (rispettivamente 2.379 contro 2.507). Ma purtroppo c’è un altro elemento che preoccupa. Sempre più spesso si scopre di aver contratto il virus con grande ritardo, quando sono particolarmente bassi i linfociti Cd4 (parametro base per monitorare l’andamento dell’infezione) o addirittura si è già in AIDS: a segnalare questa situazione sono gli esperti del Centro Operativo Aids dell’Istituto Superiore di Sanità.

Il ritardo diagnostico

Occorre più attenzione alla prevenzione. Ma soprattutto, ci vuole un più precoce ricorso ai test per identificare l’infezione. Purtroppo i numeri che vengono dall’analisi dell’Istituto Superiore di Sanità dicono che nello scorso anno ben due terzi dei soggetti eterosessuali (poco meno della metà del totale delle nuove diagnosi e più di un MSM (maschi che fanno sesso con altri uomini, più o meno poco più del 41% delle nuove diagnosi) su due arriva a scoprire la propria positività con un problema immunologico legato al virus già avanzato o addirittura con malattia conclamata. Quindi, con una compromissione significativa del sistema difensivo dell’organismo. Questi numeri segnalano l’importanza della diffusione di informazioni sulla prevenzione, anche e soprattutto tra i giovani ma non solo.

Oltre quarant’anni di malattia

Il virus è comparso negli anni ’80. Abbiamo iniziato a conoscerlo per la precisione nel marzo 1981, quando i Centers for Disease Control (CDC) di Atlanta, negli Stati Uniti, hanno avuto la segnalazione di almeno otto giovani omosessuali colpiti da una forma aggressiva di sarcoma di Kaposi a New York. Il 5 giugno il bollettino epidemiologico dei CDC MMWR Weekly pubblica l’articolo “Pneumocystis Pneumonia – Los Angeles”, che segna l’esordio ufficiale dell’epidemia di Aids. Nel maggio 1983 Luc Montagnier, dell’Institut Pasteur di Parigi, riferisce di avere isolato il nuovo virus e lo chiama LAV (lymphadenopathy-associated virus). Nel 1986 il nuovo virus viene ufficialmente “battezzato” con il suo nome attuale: virus HIV (Human Immunodeficiency Virus).

Conoscere l’infezione e le cure

I farmaci oggi sono in grado di colpire in diversi punti il processo di replicazione del virus. E si possono associare tra loro con terapie più efficaci, sulla base delle indicazioni del curante e delle scelte della persona. Si diffondono sempre più trattamenti semplici da seguire, come accade nel caso dei cosiddetti farmaci “Long-acting”. Il regime non prevede più trattamenti quotidiani, ma piuttosto iniezioni da ripetere a periodi prefissati, ad esempio a distanza di mesi. Fondamentale è controllare regolarmente, seguendo le indicazioni del centro di cura, come sta evolvendo la situazione.

In questo senso è fondamentale conoscere il cosiddetto “Viral Load” o meglio la carica virale. si tratta dell’indice utilizzato per verificare gli effetti delle terapie. In pratica misura la quantità di virus che è presente nel sangue delle persone con HIV, consentendo di valutare le condizioni iniziali del soggetto e l’efficacia dei trattamenti. Il tutto ricordando che l’attenzione nel monitoraggio si concentra su una particolare proteina di superficie, chiamata Cd4. Si tratta di una proteina che si trova su specifici linfociti (T-Helper, spesso chiamati Cd4+), oltre che su altre cellule. I Cd4 sono molecole che entrano in gioco nei processi di segnalazione tra linfociti T e altre cellule che entrano nella risposta immunitaria.

Tornando ai numeri dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2024, il 40,3% delle persone con una nuova diagnosi di infezione da HIV è stato diagnosticato tardivamente con un numero di linfociti Cd4 inferiore a 200 cellule per millilitro. In una persona sana, il valore medio si aggira tra i 500 e i 1.200. Nelle persone con HIV questo numero può diminuire drasticamente, come mostrano i dati. Per questo riconoscere prima l’infezione è fondamentale.

Le indicazioni contenute in questo articolo sono esclusivamente a scopo informativo e divulgativo e non intendono in alcun modo sostituire la consulenza medica con figure professionali specializzate. Si raccomanda quindi di rivolgersi al proprio medico curante prima di mettere in pratica qualsiasi indicazione riportata e/o per la prescrizione di terapie personalizzate.