Psichiatria, cosa comporta essere incapaci di intendere e volere

L'analisi psichiatrica forense valuta se e quanto un soggetto è capace di controllare adeguatamente le proprie azioni. Lo specialista psichiatra è il punto di riferimento in questo percorso, non senza criticità

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Federico Mereta

Giornalista scientifico

Laureato in medicina e Chirurgia ha da subito abbracciato la sfida della divulgazione scientifica. Raccontare la scienza e la salute è la sua passione, perché crede che la conoscenza sia alla base di ogni nostra scelta. Ha collaborato e ancora scrive per diverse testate, on e offline.

Tecnicamente, si definisce analisi psichiatrica forense. Ed ha lo scopo di valutare se e quanto un soggetto è capace di controllare adeguatamente le proprie azioni. Ovvero se è appunto in grado di intendere e di volere. Questa formula viene spesso impiegata quando si procede ad un giudizio, ma va compresa bene. Anche perché può avere ripercussioni in termini di giustizia penale, con diminuzione della pena.
Ovviamente lo specialista psichiatra è il punto di riferimento in questo percorso. Ma non bisogna dimenticare che una patologia psichiatrica di per sé non rappresenta un motivo per definire che una persona non è in grado di realizzare cosa sta facendo. Appunto se è o meno capace di intendere e di volere.

Sul tema ecco il parere di Enrico Zanalda, Presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense in occasione di un convegno che ha visto l’interscambio tra conoscenza diverse. La società scientifica, in particolare, raccoglie gli esperti che valutano i risvolti medico-legali e le problematiche forensi che si affrontano in ambito penale e civile con soggetti affetti da patologie psichiche. Queste valutazioni servono a stabilire le condizioni mentali di un soggetto in riferimento a un particolare reato e a un preciso momento del corso giudiziario.

Cosa vuol dire incapacità di intendere e di volere e cosa comporta

“Quando si dice che una persona non è capace di intendere e di volere, si intende che non è in grado di comprendere la natura e le conseguenze delle proprie azioni – precisa subito Zanalda”. Questo può accadere a causa di gravi disturbi mentali che impediscono di distinguere tra il bene e il male o di controllare i propri comportamenti in modo adeguato. Se durante un crimine la persona non è in grado di capire l’illegalità delle sue azioni, la legge può riconoscere una diminuzione della responsabilità penale. In ogni caso, quando un soggetto viene giudicato in parte o del tutto incapace di intendere e di volere, si creano situazioni da conoscere meglio. In caso di incapacità parziale “la persona coinvolta può ricevere una riduzione della pena di un terzo (secondo l’articolo 89 del Codice Penale) – segnala Zanalda. Se invece viene giudicata totalmente incapace, può essere prosciolta (secondo l’articolo 88 del Codice Penale). Tuttavia, la persona può comunque essere considerata pericolosa per la società e quindi sottoposta a misure di sicurezza, come il ricovero nelle Residenze per le Misure di Sicurezza (REMS) o la libertà vigilata. In Italia sono circa 8000 le persone che hanno uno di questi provvedimenti, di cui 670 circa degenti all’interno dei REMS, mentre il 90% è vincolato a percorsi di cura territoriali (libertà vigilata) che per l’80 % vengono realizzati in strutture residenziali riabilitative psichiatriche (SRP)”.

Quali difficoltà implica seguire queste persone

“Una delle principali criticità è la lista di attesa per l’accesso alle REMS, che sono strutture con una capacità limitata rispetto ai vecchi Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), dismesse ormai da 10 anni – conclude l’esperto. Sono strutture sanitarie regionali la cui capienza di posti letto a livello nazionale è volutamente meno della metà della capacità che avevano i vecchi OPG (1600 posti circa). Inoltre, c’è un uso eccessivo delle misure detentive da parte della magistratura e una gestione inadeguata dei pazienti con disturbi antisociali di personalità, che occupano posti senza trarre alcun beneficio dai programmi riabilitativi sanitari. Questo crea un collo di bottiglia che impedisce ad altri pazienti di ricevere le cure necessarie. Per migliorare la situazione, è essenziale una maggiore collaborazione tra il sistema sanitario e quello giudiziario auspicando una pianificazione più intensa di convegni tra magistrati, avvocati, psichiatri, psicologi e altri operatori sanitari e dell’amministrazione penitenziaria come quello di Milano il 24 maggio”.