La rivoluzione napoletana secondo Vincenzo Cuoco

Lo storico, scrittore ed economista Vincenzo Cuoco ha analizzato nel dettaglio la rivoluzione napoletana, posta a confronto con quella francese

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Pubblicato: 20 Dicembre 2023 06:00

Nato nel 1770 e deceduto nel 1823, Vincenzo Cuoco è stato un acclamato scrittore, giurista, storico ed economista. Due i suoi testi più noti, per i quali si è particolarmente distinto nell’ambiente culturale del tempo. Si tratta di Platone in Italia, romanzo utopistico molto originale, e Saggio storico sulla rivoluzione napoletana. Un’opera cardine per la nostra storiografia.

Analisi della rivoluzione napoletana

Vincenzo Cuoco scrisse il suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana nel corso del suo esilio a Parigi. L’opera è stata poi data alle stampe nel 1801 a Milano, in forma anonima. Un testo di grande valenza storica, considerando la vicinanza tra stesura ed eventi avvenuti. Si parla infatti di quanto occorso a Napoli a partire da dicembre 1798, con la fuga in Sicilia di re Ferdinando IV di Borbone. Si narra della caduta della Repubblica Napoletana, così come delle rappresaglie seguenti.

Un enorme successo, che portò a traduzioni in tedesco e francese, così come a un’edizione ampliata nel 1806. Un testo rilevante non soltanto per l’aspetto storiografico, che è di certo cardine. In queste pagine si ripercorrono gli eventi che portarono alla nascita e breve vita dell’esperimento repubblicano. Vincenzo Cuoco si pone in misura critica nei confronti della vicenda rivoluzionaria.

Non si limita a rendicontare gli avvenimenti. Offre una sorta di indagine molto rigorosa di tutti i fatti, ponendo in evidenza i principi teorici che furono alla base della rivoluzione napoletana. Una soluzione a dir poco interessante, perché quasi del tutto priva di retorica o enfasi, atta ad attrarre il pubblico. Ciò che resta è uno spaccato della cultura filosofica e politica di inizio secolo nella capitale dell’Italia meridionale.

Rivoluzione francese e napoletana

Considerando la vicinanza temporale, era soltanto logico porre a confronto la rivoluzione francese con quella napoletana. Vincenzo Cuomo prova a scavare a fondo, indagando le ragioni del fallimento di quella avvenuta in Italia.

Le cause che individua con lucidità sono svariate, a partire dall’imposizione nata dagli stranieri. Ciò vuol dire che la rivoluzione coinvolge realmente soltanto una élite limitata, e ampiamente impreparata al governo. In nessun caso le ragioni raggiungono la coscienza popolare, che avrebbe dovuto essere il vero motore del processo rivoluzionario.

Da un lato, sottolinea Cuoco, il nuovo governo, dalla vita molto breve, fu vittima della propria imperizia tecnico-politica. Dall’altro, invece, l’esperimento era destinato a fallire, senza alcun dubbio. Si mirava infatti ad applicare interamente il modello della rivoluzione francese, senza preoccuparsi minimamente di prendere in considerazione tutte le sfaccettature e le esigenze della società napoletana.

Si pretendeva dal popolo che seguisse a occhi chiusi dei dettami che non comprendeva, perché appartenenti a un’altra società. La rivoluzione napoletana non fu per il popolo o sospinta da questo. A esso venne imposta, il che generò una frattura insanabile fin dall’origine. I partenopei sentirono estranei al processo, come se si trattasse di una dominazione, di un governo forzato. Non c’è rivoluzione però, evidenzia Cuoco, che possa sopravvivere e attecchire a lungo se basata su concetti generali e non nati dal basso e a esso perfettamente aderenti.